Umiltà e Servizio

Introduzione
Quando parliamo di umiltà, pensiamo subito ai Santi del Medioevo, una figura fra tutte spicca come emblematica: San Francesco.

L’umiltà che Lui ha incarnato fu la migliore espressione, in quel tempo, del farsi strumento di Dio in contrapposizione al lusso sfrenato e alla secolarizzazione della Chiesa. Dio doveva insegnare e ammonire con un potente esempio, quello che poi fu il Patrono d’Italia. L’umiltà di San Francesco era destinata ad avere considerevoli conseguenze politiche e sociali, oltre che spirituali, era il simbolo di una missione nazionale, adatta a quel tempo e a quei luoghi.

Certi Grandi Esseri scendono con un compito molto pratico, al di là delle implicazioni spirituali che irradiano fino a oggi, danno una sterzata alla storia, quando l’umanità e i governi degenerano. Primo fra tutti in assoluto Gesù e la degenerazione dell’Impero Romano, Gandhi e l’indipendenza indiana, M. L. King e l’affrancamento del popolo di colore in America. Non bisogna confondere l’umiltà con la tristezza e i visi compunti. Gandhi e King, ad esempio, univano l’incedere regale e la forza indomita dell’azione e della parola a favore dei deboli con una totale resa alla Volontà Divina.

L’icona del Santo scalzo vestito di un saio è entrata nell’immaginario collettivo come unico simbolo di umiltà, ma, in realtà dovremmo allargare ed estendere questo concetto.

Elementi della vera umiltà
Innanzitutto, la vera umiltà non è leggibile e visibile attraverso un atteggiamento esteriore. Essa è una qualità del Cuore e come tale non fa rumore, non luccica e non fa pubblicità di sé. Esprimere o individuare tale aspetto è piuttosto difficile, solo chi la incarna come conseguenza naturale di un cammino serio e sincero, la sa riconoscere soprattutto negli altri e non in sé stesso.

Chi la possiede, e tutti i Realizzati ne sono contraddistinti, la ottiene in quanto consapevole e ammutolito dallo Splendore Divino, egli non può che sentirsi minuscolo di fronte a tanta immensità e quasi pervaso dalla insensatezza ed evanescenza del suo sapere di fronte alla perfetta composizione e maestosità della Creazione e della Musica delle Sfere. Non solo, si rende conto di essere lui stesso uno fra miliardi di particelle che splendono come e più di lui nella infinita danza degli universi e che lui senza il Massimo Fattore non avrebbe né vita né consistenza.

Subito orgoglio, posizione, cultura, individualità si frantumano e disperdono nel momento stesso in cui esplode la realizzazione. Un meraviglioso senso di riverenza e gratitudine soppianta il vecchio ego, ogni manifestazione in essere visibile o invisibile reca all’occhio del risvegliato il Marchio di Fabbrica, ed è questa consapevolezza che determina istantaneamente deferenza verso i propri simili, la natura ed ogni essere vivente. Ogni momento di realizzazione che amplia la Consapevolezza, ha sempre in sé la totale coscienza che ogni esperienza sottile amplia e arricchisce il patrimonio genetico di tutta l’Umanità.

Cioè una esperienza realizzativa non rafforza l’idea di essere un privilegiato e che quella esperienza ti venga data perché sei più bello, simpatico, furbo e meglio degli altri. Al contrario, durante ogni Esperienza, comprendi con tutto te stesso che tutti, ma proprio tutti, hanno in potenza questa capacità; quindi, si deve solo riportarla alla memoria. È sempre stata lì, e non c’è senso di separatezza dai simili e dal creato, poiché vivi la condizione che vede la tua energia e le tue cellule essere parte del tessuto di tutta la Manifestazione senza soluzione di continuità. Dopo tutto questo, come non sentirsi umili ovvero deferenti incondizionatamente?

L’umiltà è uno stato di consapevolezza. Nessuno può in realtà stabilire chi è umile e chi no, perché a nessuno è dato leggere il cuore dell’uomo e di giudicare dall’apparenza se non ha lui stesso provato sulla sua pelle e nel suo DNA. In parole povere, se la mente operante in ognuno di noi pensa o meglio si arroga il diritto di individuare attraverso l’analisi e il giudizio dove sia l’umiltà, è sicuramente destinata al fallimento.

La mente non può sentenziare su ciò che non è di sua pertinenza, e, parafrasando Einstein, come se alla casalinga fosse dato di spiegare di che cosa è fatta la farina nella sua essenza molecolare. Ovviamente la prima non saprà cosa dire e, parimenti, non vi sono parole che possano descrivere ciò che non è possibile tradurre a parole.

Gli stati d’essere non possono essere misurati e valutati razionalmente, gli stati d’essere possono solo essere sperimentati o compresi attraverso la percezione e l’intuizione, quando queste sono sviluppate e vibrano in alto, altrimenti registrano in modo deformato e distorto. Per vibrare in alto è necessario purificarsi ed essere disciplinati oltre che avere come obiettivo la realizzazione personale. Non c’è altro, tecniche e corsi, se non passano attraverso una seria “Sadhana” (disciplina e coerenza spirituale) possono produrre risultati parziali e distorti.

Esempi celebri
A dimostrazione del fatto che associare l’umile a una persona dimessa e triste sia quanto mai erroneo, ci aiuta l’immagine di Grandi Maestri quali Yogananda e i Suoi Paramguru (Yukteswar, Mahasaya, Babaji), Aivanov, Aurobindo e Sai Baba; di cui tutto si può dire tranne che fossero tristi e dimessi. Il Loro incedere regale, la sobrietà dei modi che Li rendeva sinceramente nobili, trasmettono un’idea di Principi piuttosto che di mendicanti. Ma non ponevano alcuna distanza con il prossimo, avevano la capacità di entrare empaticamente nel cuore di ogni uomo con dolcezza, riguardo e venerazione.

Ed in questo sta il Loro essere umili rispetto ai loro fratelli (noi) in quanto scintille divine, sempre pronti a servire l’Umanità dura, cocciuta, egoistica ed egoica. Esprimevano il privilegio di servire gli ultimi degli ultimi e neutralizzavano le cattive qualità degli individui, agganciando l’intimo inconfessabile con un sorriso e un’affettuosa ironia. Questo modo di essere conquistava indelebilmente. È come l’amore di una madre che è umile e non supponente o pretenzioso, non chiede mai niente in cambio e si fa piccolo quando deve lasciare andare il bambino che diventa adulto.

Vorrei citare una frase di Sai Babà sull’umiltà: “Umiltà non significa piegare la testa: solo un atteggiamento mentale libero da egoismo, ostentazione e attaccamento può essere chiamata vera umiltà”.
L’umiltà quindi si sviluppa di pari passo con la nostra evoluzione umana e spirituale, non è un atteggiamento, una maschera ipocrita che prima o poi si incrina, l’umiltà è spontanea ed istintivamente scaturisce da un cuore purificato.

Il servizio
Non parlerò dei vari tipi di servizio, in genere si parla di servizio reso a sé e di servizio reso all’uomo e che il servizio reso all’uomo è servizio reso a Dio.

Personalmente penso che tutto sia servizio, quando si agisce nel “dharma” ovvero rettamente, dalla raccolta differenziata (servizio alla natura) all’aiuto fraterno al proprio prossimo. Perché il discorso sul servizio si lega strettamente con l’umiltà? Semplicemente perché sono fortemente convinta dell’affermazione di Gesù “che la mano destra non veda quello che fa la sinistra!” Quale miglior palestra per l’esercizio del valore dell’umiltà?

Dove c’è ostentazione non c’è vero servizio. Il servizio non ha voce, si fa. Non richiede riconoscimenti, è un premio a sé stesso. Chi lo riceve dovrebbe manifestare gratitudine dal cuore, ma chi lo fa non pensa a un ritorno di alcun tipo. Il servizio può essere un soccorso o un aiuto concreto, ma può essere un sorriso, un ascolto attento, un consiglio soft senza presunzione di verità assoluta o di intrusione nella vita altrui.

Ma che cosa rende un atto di vero servizio? Tento un elenco di fattori che lo qualificano come tale:

  • Deve essere fatto con gioia e leggerezza, non dovrebbe innescare uno stato di peso o di resistenza.
  • Deve essere commisurato alle nostre reali capacità e possibilità, non potrò costruire un orfanotrofio o un centro di recupero se non sono benestante, o non mi sentirò di andare in Africa o altrove, ma potrò guardare con attenzione il figlio del mio vicino indigente e offrire gentilmente il mio aiuto se è gradito. Non possiamo forzare la volontà di nessuno.
  • Il nostro lavoro è una palestra formidabile di servizio verso noi stessi per limare le spigolosità del nostro carattere. Oggi c’è aggressività e spietato calcolo dappertutto, e so bene che è difficile mantenere integrità in ogni situazione, ma se siamo orientati spiritualmente dobbiamo mettercela tutta e non dimentichiamo che è un bel test soprattutto in questa ora storica.
  • I pionieri della quarta e quinta dimensione sono già fra noi, non sono capiti ma aprono una strada verso un futuro migliore e sono di esempio e di incoraggiamento per altri.
  • Rendere un servizio significa sacrificare qualcosa a cui teniamo per il bene dell’altro. Se un amico chiede aiuto, come spesso succede, mentre sono comodamente in panciolle, posso rinunciare alla mia ora di comodità, infilare la porta di casa e raggiungerlo. Non ho il ricettario delle soluzioni da telefono amico, ma posso stare con lui. Mi è capitato di aver bisogno di qualche aiuto e di averlo sottilmente espresso. La maggior parte delle volte chi mi ascoltava ha fatto finta di non sentire, questa è l’omissione a cui faceva riferimento Gesù. Parimenti, è accaduto che mi venisse offerto un servizio non richiesto perché costituivo un viatico per i fini personali dello pseudo-amico in questione. Ecco, quando si rende un servizio non lo si deve fare per accrescere interessi personali, ma senza alcun secondo fine e, se non ricordo male, anche su questo Gesù ebbe a dire qualcosa. Dio intercetta i calcoli personali e li azzera sempre in un modo o nell’altro.
  • Spesso si sente dire: “se hai bisogno, chiamami!” No, caro mio o cara mia, chi è in bisogno non chiamerà mai, sei tu che devi sollevare il capo dalla tua cristallizzata abitudinarietà e chiedere all’amico con assiduità se ha bisogno di qualcosa quando questi è in difficoltà. L’orgoglio e l’amor proprio sono proprio delle brutte bestie da domare unitamente all’indifferenza. Servizio è anche essere attenti ai bisogni altrui inespressi.
  • Lasciar andare i frutti delle proprie azioni. Spesso si sente dire: “è inutile fare donazioni, tanti si sa dove vanno a finire!” Immaginiamo che i nostri soldi pochi o tanti che siano vadano realmente ad aiutare chi ha bisogno, lasciando i frutti a Dio. Donare qualcosa va sul libro paga del Signore nella colonna del “dare” nella pagina intestata a noi. O meglio aver donato qual cosa va tutto a nostro favore, non spetta a noi prender visione del rendiconto. Se senti di farlo, fallo e basta senza porti altre questioni. Lasciare andare i frutti delle proprie azioni induce al distacco e alla pace e mette in pratica il precetto di Gesù Cristo di non guardare quello che fa l’altra mano. I sentimenti di orgoglio ed esibizione, come tutti i sentimenti negativi causano un’oppressione energetica a livello del chakra del cuore, mentre il contrario è una fresca e leggera brezza di gioia e letizia. Quando ci si libera dai propri difetti, la prima sensazione e una grande leggerezza come se ci si fosse liberati da un grande peso.
  • Servizio significa anche svolgere il proprio ruolo nella società (mestiere, ruolo famigliare, ruoli pubblici…) al meglio delle proprie capacità e ligi al diritto/dovere della correttezza “dharmica”. Tutta la società ne trarrebbe vantaggio, anche se nel mondo e nel nostro paese diventano valori, l’irrilevanza di valori come la scaltrezza, la corruzione, il furto celato attraverso le tasse esose, il machiavellismo spudorato, l’interesse dell’uno a scapito dei molti e lo sfruttamento portano a una degenerazione delle coscienze. Cosa mai dovrà accadere perché tutto ciò venga spazzato via alle radici?
  • Se abbiamo la fortuna di svolgere servizio presso i malati e le comunità di anziani e bambini, allora, a parte un buon corso di formazione con le strutture idonee, non facciamo che ci stanchiamo subito. Quando si offre un servizio, ci impegniamo farlo se non per sempre, almeno per tutto il tempo necessario a concluderlo. Sai Baba spesso diceva che chi vive solo per sé stesso è come se vivesse al buio, chi vive unicamente per la famiglia è come se vivesse in una stanza illuminata da una lampadina sola, chi si apre all’umanità è come se vivesse in una stanza con le finestre spalancate con tutte la luce possibile che la inonda tutta. A buon intenditor…

        A proposito, a volte accade che il beneficiato se ne approfitti. Questo non va permesso, come non va permesso l’essere usati. Con grande maestria e serena chiarezza si deve intervenire. I fatti non detti creano sempre molti equivoci. È bene trovare la forza in sé stessi per essere chiari senza ferire. Se la persona in questione non si farà più sentire, non era un vero amico e non comprendeva il valore della nostra disponibilità. Ognuno seguirà, in fin dei conti, quello che il cuore gli detterà.

        La più grande rivoluzione che possiamo aspettarci in questi anni così unici è la rivoluzione del cuore, il rispetto delle leggi divine e quindi umane, l’azione altruistica. L’Italia ha ora bisogno di figure veramente carismatiche come Gandhi, King e Mandela. L’unica vera rinascita può avvenire attraverso l’aumento della coscienza delle masse. Avverrà? Chiediamolo uniti con tutto il nostro cuore e accresciamo l’energia dell’altruismo attraverso un sano servizio.

        L’esempio radica come l’edera, una foglia dietro l’altra tutti uniti nell’arrampicata.

        Articolo a cura di Marina Ciccolella

        Articolo pubblicato sulla rivista “Quarta dimensione” n. 2/2012

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