La storia di Teresa Neumann

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Infanzia e giovinezza
Teresa Neumann nacque a Konnersreuth, un paesino della Baviera nord-orientale che contava all’epoca meno di mille abitanti, l’8 aprile 1898, un venerdì santo.

La casa natale di Teresa si trova proprio sulla piazza principale, di fronte alla chiesa. Konnersreuth è un paese agricolo, posto in zona leggermente collinare alle pendici del Fichtelgebirge: intorno ha prati e campi, più lontano boschi.
Alla fine del secolo e negli anni precedenti la prima guerra mondiale il paese era molto povero; tuttavia la maggior parte degli abitanti viveva in casette di proprietà e possedeva un fazzoletto di terra, coltivato in genere dalle donne.

Gli uomini, per guadagnare qualcosa, lavoravano nelle fabbriche di cristallo e porcellana non lontano da Konnersreuth o nelle cave di pietra.
La famiglia di Teresa era povera come la maggior parte delle famiglie del paese: il padre Ferdinand era sarto, la madre Anna, quando le cure della numerosa famiglia lo consentivano, lavorava a giornata nei campi. Teresa era la prima degli undici figli di Ferdinand e Anna, nati fra il 1898 e il 1912; essendo la maggiore, cominciò ben presto a occuparsi dei fratellini e a sostituire presso di loro la mamma quando questa era assente per lavorare.

Nonostante la povertà e le privazioni, nella famiglia Neumann regnava una grande armonia e i bambini crebbero in un’atmosfera serena e affettuosa. Quanto fosse povera la famiglia risulta evidente da questo episodio narrato da Teresa stessa al dottor Gerlich: finite le scuole primarie, Teresa fu mandata a servizio presso la famiglia di un contadino e qui vide la padrona di casa condire la minestra di pane col burro. Credette che l’avesse fatto per errore e tornata a casa raccontò la cosa alla mamma; la quale però le spiegò che la minestra di pane deve essere condita col burro, ma lei non l’aveva mai potuto fare perché non poteva permetterselo. Esortò però la figlia a non dirlo a nessuno, per non far vergognare troppo i genitori!

Anche l’episodio seguente fu narrato da Teresa a Gerlich, che lo riporta nel suo libro: quando il sarto Ferdinand aveva finito di confezionare un abito, affidava a uno dei figli l’incarico di portarlo al cliente, e spesso al bambino veniva data una piccola mancia. Questa però non veniva spesa subito, bensì conservata e nascosta in uno sportellino della macchina da cucire del padre. Quando in casa non c’erano più soldi, cosa che capitava abbastanza spesso, tutta la famiglia si riuniva solennemente intorno a quella piccola cassaforte: il gruzzoletto veniva prelevato e utilizzato per le immediate necessità. I bambini erano orgogliosi di contribuire in questo modo al ménage familiare.

Il cibo abituale della famiglia Neumann, come del resto degli altri abitanti della zona, erano le patate. Nonostante il povero nutrimento, Teresa e i fratelli crebbero sani e forti. Raggiunsero infatti tutti un’età avanzata, meno Engelbert (nato nel 1901), che morì di malattia ad appena quattro anni. Ferdinand (nato nel 1911) e Agnes (nata nel 1909) sono ancora vivi.

La famiglia di Teresa era cattolica: gente pia e devota, che frequentava regolarmente la chiesa e si accostava spesso ai sacramenti. I bambini ricevettero un’educazione cristiana e il padre teneva moltissimo che in chiesa fossero attenti e rispettosi: se qualcuno di loro chiacchierava durante le funzioni, a casa doveva inginocchiarsi per terra e recitare il rosario. Teresa da adulta raccontava, sorridendo, che le sue sorelle Anna e Ottilia erano spesso incappate in questa punizione, mentre lei e Maria l’avevano sempre evitata. Teresa fu sin da piccola sempre attiva e piena di vita. Da bambina la sua occupazione preferita era guardare libri illustrati e coltivare le piante e i fiori: un amore che l’accompagnò sempre e le procurò grandi gioie. Lavorava volentieri anche in casa, puliva le stanze e lavava la biancheria per sollevare la mamma da queste fatiche.

A scuola studiava volentieri: la frequentò dal 1904 al 1911 e assolse l’obbligo scolastico con buoni voti. Non mostrò, da bambina, una devozione superiore agli altri membri della famiglia, che come abbiamo visto erano religiosi ma alieni da qualunque forma di bigotteria; si sa però che partecipava volentieri alle lezioni di religione e usava scrivere su quaderni i propri pensieri e le proprie riflessioni in materia. Purtroppo di questi scritti nulla si è conservato: nel 1927 la casa dei genitori fu ristrutturata e molte vecchie cose, tra cui i quaderni di scuola dei bambini, furono bruciate. Ben presto Teresa cominciò a contribuire al bilancio familiare andando a servizio: già nell’ultimo semestre di scuola lavorava nel pomeriggio in un podere distante un quarto d’ora da Konnersreuth.

E a 14 anni, nel 1912, fu messa a servizio in una grande tenuta adiacente al paese, di proprietà di un certo Max Neumann; l’anno dopo trovò lavoro nella medesima fattoria anche la sorella Maria, di 13 anni, e durante la guerra anche Anna.
Il lavoro era duro, perché la tenuta era grande e con molto bestiame, ma Teresa era robusta e amava i lavori dei campi, gli animali e tutto ciò che aveva a che fare con la natura. Aveva un carattere energico e indipendente, e niente la spaventava. Anche Teresa, come le sue sorelle, ebbe dei corteggiatori, ma lei non prestò mai loro attenzione: i suoi progetti erano ben diversi.

Fin da ragazzina infatti cominciò a coltivare in cuore il desiderio di farsi suora missionaria e di andare in Africa non appena il suo aiuto in casa non fosse più stato indispensabile, e a questo scopo prese i primi contatti con le missionarie benedettine di Tutzing.
Le cose però dovevano andare diversamente.

L’incidente del 10 Marzo 1918
Sull’episodio, che per molti aspetti segnò il destino di Teresa, così ha raccontato il fratello Ferdinand: «Nel 1914 scoppiò la guerra e nostro padre fu richiamato alle armi. Prima di partire si fece promettere solennemente da Resl che finché lui non fosse tornato a casa lei non sarebbe entrata in convento, ma sarebbe rimasta con la madre e i fratelli. Resl naturalmente promise, pur continuando a coltivare dentro di sé il desiderio della vita monacale. Alla fattoria il lavoro cresceva sempre più, perché uno dopo l’altro tutti gli uomini furono richiamati e Teresa era sempre più impegnata. Appena poteva però correva a casa e si occupava anche di noi. Questo durò fino al 1918, quando ci fu l’incidente…».

Un incidente evidentemente voluto dal destino. Racconta infatti ancora Ferdinand Neumann: «In quel mese di marzo del 1918 successe qualcosa che a me personalmente ha sempre fatto una grande impressione, ma che finora non è stato fatto notare da nessuno: cioè il rapporto preciso, immediato e concreto fra il ritorno di nostro padre e l’incidente di Resl, che pose fine alle sue speranze di farsi suora. Papà tornò dalla guerra la sera del 9 marzo e l’incidente avvenne la mattina dopo, il 10 marzo! Teresa non ebbe neppure il tempo di tornare sui suoi progetti. Evidentemente il suo destino non era quello…».

L’incidente avvenne così: la mattina di quel 10 marzo scoppiò un incendio molto violento nella fattoria vicina a quella in cui Teresa lavorava. Col suo carattere spontaneo e generoso, Resl fu tra i primi ad accorrere in aiuto: in piedi su una panca afferrava i secchi d’acqua che le venivano allungati, li sollevava e li passava a un’altra persona più in alto. A un certo punto avvenne l’irreparabile: per lo sforzo Resl si procurò una slogatura alla spina dorsale. Come fu constatato in seguito, c’era stato uno spostamento della seconda e terza vertebra lombare con conseguente compressione del midollo, il che provocò subito intorpidimento alle gambe e mancanza di equilibrio. Lì per lì nessuno si allarmò in maniera particolare e Teresa stessa pensò a un «colpo della strega» particolarmente violento.

Tornò a casa da sola e rimase in riposo per un paio di giorni; poi riprese, con grande fatica, la solita vita.
Seguirono alcune cadute rovinose dovute all’intorpidimento alle gambe, che peggiorarono ulteriormente la situazione, finché per l’aumentare dei dolori e il crescente senso di intorpidimento Resl dovette mettersi a letto. Ma non servì, perché la malattia continuò a peggiorare: si presentarono crampi spaventosi che addirittura la facevano svenire, difficoltà a inghiottire, disturbi alla vista e graduale incapacità a muoversi. Resl fu curata come meglio si poté, fu anche ricoverata per alcune settimane all’ospedale di Waldsassen, a qualche chilometro da Konnersreuth, ma senza alcun risultato.

Nel marzo del 1919, a un anno esatto di distanza dall’incidente, Resl era completamente paralizzata alle gambe e priva della vista. La cecità era sopravvenuta dopo un’ennesima caduta, questa volta dalla sedia dove era stata messa a sedere mentre le rifacevano il letto: aveva battuto la testa violentemente contro la porta, era sopravvenuto un crampo spaventoso e lei aveva perso i sensi. Era poi rimasta vari giorni in stato di incoscienza, e quando aveva finalmente riaperto gli occhi non ci vedeva più.

Racconta ancora Ferdinand Neumann: «I miei riuscirono a trovare un oculista, cosa a quel tempo non facile, il quale dopo aver visitato Resl dichiarò che il nervo ottico era lesionato e non esistevano medicine per migliorare la situazione. Mia sorella, che fino a quel momento aveva sperato di guarire e di tornare a lavorare, dovette perdere ogni speranza. Anni dopo, nei colloqui che avevamo quando la portavo a fare quelle passeggiate in macchina che tanto le piacevano, mi confidò che aveva impiegato due anni ad accettare quello che le era capitato, a dire si alla malattia. Noi fratelli comunque l’abbiamo sempre vista rassegnata e paziente: la sofferenza era divenuta il suo pane quotidiano e lei l’accettava come l’aveva accettata Gesù.

Pregava molto e traeva grande conforto dalla comunione che il parroco padre Naber le portava ogni giorno. In particolare era devota a santa Teresa di Lisieux, di cui aveva un’immaginetta che papà le aveva portato dalla Francia durante la guerra. Oltre che dalla cecità e dall’infermità, Resl era tormentata da piaghe da decubito, atroci dolori di testa, crampi spaventosi. La gamba sinistra era rattrappita e il piede completamente girato verso destra».

Oltre alle grandi sofferenze fisiche, Teresa era tormentata dall’idea di essere di peso alla famiglia: non solo non lavorava e non guadagnava più, ma doveva essere costantemente assistita. I genitori e i fratelli sopportarono però sempre tutto con grande coraggio e rassegnazione e fecero il possibile per alleviare la condizione di Resl, sia standole molto vicino che procurandole tutte le cure mediche che riuscirono a trovare.
La malattia di Teresa durò complessivamente sette anni: la guarigione fu progressiva – prima fu liberata dalla cecità e poi dalla paralisi – .

La guarigione dalla cecità
Teresa Neumann rimase cieca quattro anni e guari improvvisamente il 29 aprile 1923, giorno della beatificazione di santa Teresa di Lisieux.
E’ ancora Ferdinand Neumann che racconta: «Il 29 aprile era domenica. Teresa aveva avuto il giorno prima gravi disturbi di stomaco e nostro padre si era svegliato presto per andare a Neustadt da un terapeuta a prendere un certo tè di erbe che già altre volte le aveva fatto bene. Alle sei, quando andò a salutare Resl, lei era ancora cieca e non lo vide. Poi mia sorella dormi ancora un poco: raccontò poi di aver avuto la sensazione che mentre dormiva succedesse qualcosa al suo guanciale, “come se graffiasse”.

Si svegliò alle sei e mezzo e poté vedersi le mani, la camicia da notte, il letto. Alzò gli occhi verso la stanza, vedeva ogni cosa. Allora prese il bastone e lo batté sul pavimento, come usava fare per chiamare i familiari quando aveva bisogno: voleva chiamare la mamma. Arrivò invece nostra sorella Crescenzia, e Teresa in un primo momento non la riconobbe, perché in quattro anni era molto cresciuta. Teresa le disse di chiamare subito la mamma. Appena arrivò, Teresa le gridò che vedeva! La mamma in un primo momento non le credette, pensò che non si sentisse bene, ma Teresa insisteva. Allora la mamma prese dal davanzale della finestra un vaso di fiori bianchi e glielo mostrò, e Teresa fece un commento preciso; poi le mostrò dei fiori rossi, e Teresa descrisse anche quelli. La mamma allora ci chiamò tutti, e Teresa ci parlò e ci riconobbe, uno dopo l’altro. La vista le era ritornata! Piangemmo insieme di gioia!».

Il giorno dopo il dottor Seidì visitò Teresa, ma non trovò alcuna spiegazione del fatto.
«Teresa e tutti noi», racconta ancora Ferdinand Neumann, «attribuimmo il miracolo alla piccola Teresa di Gesù Bambino».
Teresa stessa, in una lettera che il 27 maggio 1923 scrisse alla sua amica signorina Simson, che era stata maestra a Konnersreuth, descrisse la propria guarigione dalla cecità.

“Cara signorina Simson, Salve! Così vorrei gridarle con immensa gioia! Pensi un po’: con l’intercessione della beata Teresa, il Signore mi ha ridonato la vista. Che felicità!… Sabato 28 aprile vedevo ancora buio davanti agli occhi, come nei trascorsi quattro anni; domenica mattina, 29 aprile, aprii un po’ gli occhi, ma li sentivo pesanti per gli ultimi tormenti allo stomaco. Ero davvero molto spossata; a un certo momento aprii gli occhi e… credetti di sognare: vedevo tutto distintamente. Bussai alla mamma che accorse temendo che avessi ripreso il vomito sanguigno, invece mi udì esclamare felice:

«Mamma, ci vedo!». Lei credette che vaneggiassi e per sincerarsi pose un vaso di fiori bianchi davanti a me. «Oh, che bei fiori bianchi!», dissi io, «a maggio li porteremo in chiesa alla Madonna». Immagini un po’, cara signorina, la gioia di quella domenica. Il sabato era stato tutto nero, come sempre, e la domenica vedevo tutto e bene. Ringrazio sempre, e assieme a Dio mille volte la piccola Teresa. Nessuno l’avrebbe creduto, e io meno degli altri, che allo stato in cui mi trovavo avrei recuperato la vista. Un anno fa il dottor Seidì disse a una mia zia: « Per gli occhi non c e più alcuna speranza, dovrebbe succedere un miracolo per farli risanare».

Sabato, 28 aprile, il medico era di nuovo qui, quando un crampo mi tirò il piede sinistro fin sotto il ginocchio destro. Ancora una volta lui disse: «Non c’è più nulla da fare». Stavo quasi per arrabbiarmi. I medici vedono nell’avvenire tanto poco quanto noi. Questo è riservato solo a Dio, per il nostro meglio, e noi dobbiamo abbandonarci con gioia alla Provvidenza divina. Che il buon Dio faccia di me quello che vuole. Se mi farà guarire, sarò contenta, e se mi farà soffrire per altri cinquant’anni alle gambe, fa lo stesso. Se mi vuol togliere di nuovo la vista, è affar suo; se mi facesse morire sarebbe la mia più gran gioia. Ho spesso tanta nostalgia del paradiso, ma forse dovrò salire ancora molti gradini della Via crucis…” Con la vista, Teresa aveva riacquistato la possibilità di leggere e di ammirare la natura, grande gioia per lei. Gli altri guai però erano rimasti. I due anni che seguirono furono colmi di sofferenze, cristianamente accettate.
Da una lettera che Teresa scrisse a una sua amica, che era stata sua compagna di scuola e con la quale aveva progettato di andare nelle missioni, possiamo renderci conto del modo in cui Teresa accettava le pene che quotidianamente la tormentavano:

«Cara sorella, non va troppo male, anche se le sofferenze occupano gran parte del mio tempo. Questa ormai è la mia professione. Non mi è stato concesso di operare nelle missioni all’estero, conquistando anime al mio diletto Salvatore, ma posso farlo qui, a casa mia. Fa lo stesso, vero, il posto dove si opera; siamo dovunque a casa nostra finché non giungeremo alla nostra vera dimora verso la quale aneliamo con nostalgia!».

La guarigione dalla paralisi
Venne il giorno della santificazione della piccola Teresa di Lisieux, 17 maggio 1925.
Dal Diario di padre Naber ricaviamo la descrizione di quanto avvenne: « Quel giorno fui chiamato presso l’ammalata perché non si sapeva che cosa avesse. La trovai con gli occhi fissi e rivolti verso qualcosa davanti a lei, le mani tese nella stessa direzione, il volto radioso; faceva cenni di assenso con la testa, come se stesse parlando con qualcuno. Improvvisamente si mise a sedere, cosa che per sei anni e mezzo non era riuscita a fare. Quando quello stato straordinario sparì, le chiesi dove fosse stata.

Invece di rispondere, lei dichiarò con sorprendente sicurezza che ora poteva alzarsi e camminare. La madre guardò stupita il piede sinistro che da circa nove mesi era rattrappito e girato verso il destro: ora era di nuovo normale come l’altro.
Subito la malata si alzò e sorretta dal padre camminò per la stanza per mezz’ora.

Alla mia rinnovata domanda dove fosse stata, raccontò che all’improvviso, mentre pregava, le era apparsa davanti agli occhi una luce e una voce straordinariamente amichevole le aveva chiesto se volesse guarire; lei aveva risposto che per lei tutto andava bene, guarire, restare malata, morire, come voleva Dio. Al che la voce aveva replicato che oggi avrebbe avuto una piccola gioia, si sarebbe alzata e avrebbe camminato. Però avrebbe dovuto soffrire ancora molto e nessun medico avrebbe potuto curarla. Non doveva comunque disperare: “Io ti ho aiutata finora e ti aiuterò anche in avvenire”.

La voce parlò ancora del significato del dolore e concluse: “Io ho scritto: si salvano più anime coi patimenti che con le prediche più brillanti”. (Vedi la sesta lettera di Santa Teresa di Gesù Bambino ai missionari).
Da allora le due vertebre, che prima erano distorte e compresse, tornarono in posizione naturale, i crampi e la paralisi sparirono e la malata poté camminare appoggiandosi al bastone e a una persona…

L’opera fu completata qualche mese dopo: «Il 30 settembre, anniversario della morte di Santa Teresa», leggiamo ancora nel Diario del parroco, «la meravigliosa luce apparve di nuovo e la stessa voce disse all’ammalata che Dio voleva che ora camminasse senza aiuto. E così fu». Ancora una volta Teresa descrisse in una lettera a un’ amica suora la grande esperienza della guarigione. La lettera è datata 16 giugno 1925, un mese dopo il recupero dell’uso delle gambe:

“Cara amica, voglio raccontare anche a te la grande, immeritata grazia che è stata concessa il 17 maggio. Pensa, cara amica, che ora posso sedere e camminare. Non so lontanamente descriverti come mi sento: tutto il mondo mi sembra nuovo… Sai, non sono mica guarita del tutto; anche la voce mi aveva detto che avrei sofferto ancora molto, ma questo mi rallegra perché senza dolori e patimenti non so più immaginare la vita. Ma i dolori più grandi, quelli alla spina dorsale, sono scomparsi completamente. Il punto leso sta bene, le vertebre sono tutte a posto, grazie a Dio.

Ti voglio raccontare brevemente con e successo. Il 17 maggio, giorno della canonizzazione della piccola santa Teresa, stavo nel pomeriggio sola soletta nella mia stanza, immersa nella devozione del mese di maggio. Recitavo appunto il rosario quando d’improvviso si fece una gran luce davanti a me. Non posso descriverti quel chiarore. Al primo momento mi spaventai, tanto che gettai due forti grida che furono udite persino dai miei cari, da basso. Ma quando vennero su, non li vidi né li udii. Però non avevo più il crampo. I miei cari s’accorsero subito che avevo un altro aspetto. Vennero le sorelle Arzberg e mia sorella Anna, e poi andarono a chiamare il signor parroco.

Egli racconta che, appena entrato dalla porta, comprese in quale stato mi trovassi: non somigliavo più a me, né sapevo chi fosse presente. Ma ciò che accadeva dentro di me lo ricordo come fosse ora. Quando vidi la luce, sentii una voce dolcissima che incominciò a chiacchierare. Mi chiese se volessi guarire. Risposi che per me andava bene tutto: vivere o morire, essere sana o malata. Tutto ciò che vuole il Signore va bene per me, tanto lui sa ciò che è per il meglio.

Allora la voce disse: «Ti farebbe piacere se potessi badare a te stessa?», ed io: «Tutto mi fa piacere». La voce disse ancora: «Perché sei così sottomessa, come piace al Signore, ora avrai anche tu una piccola gioia. Ma dovrai soffrire ancora molto e a lungo: nessun medico ti potrà aiutare. Io ti sono stata sempre vicina e continuerò ad esserlo. E ora puoi metterti a sedere. Prova, via, io ti aiuterò». E qualcosa mi afferrò alla mano destra e mi aiutò a sedere. Ma nello stesso istante ebbi un dolore tremendo nel punto leso della spina dorsale, tanto che mi dovetti sdraiare di nuovo.

La voce continuò a parlare ancora e ancora, ma ora diceva soltanto cose che riguardavano il mio intimo. Parlò molto e insistentemente delle sofferenze, ma questo non intendo rivelarlo. Solo al mio confessore narrai tutto, per obbedienza. La voce aggiunse ancora una frase riguardo ai patimenti: «Questo l’ho già scritto tempo fa». Da quella frase il mio confessore riconobbe che la voce apparteneva a santa Teresa, perché la trovò nei suoi scritti, ma solo il lunedì seguente. La voce parlò ancora di cose spirituali e poi disse: «Adesso puoi alzarti e camminare». Di nuovo sentii afferrare la mia mano e sedetti.

Poi la voce disse ancora qualche cosa e d’improvviso la luce sparì. Solo in quel momento vidi e udii i miei cari… Si, cara amica, le mie vertebre ora sono diritte e così anche la gamba, solo un po’ più corta. Come abbia fatto a raddrizzarsi, non lo ricordo affatto, ma la mia cara mamma e le reverende suore videro, durante quell’ora, che a poco a poco la gamba si stendeva, mentre prima era ancora tutta rattrappita. Qualche giorno dopo venne il dottor Seidi e rimase stupefatto. Egli mi visitò a fondo e constatò che la lesione al midollo spinale era del tutto guarita. Però proprio del tutto sana non lo sono, sai; quelle sofferenze che dipendono dal sangue sono rimaste.

Se la santissima volontà di Dio avesse disposto che guarissi completamente, la voce me l’avrebbe detto. Già così sono molto felice: senza patimenti non vorrei vivere. Ora i miei cari non hanno più tanto da fare intorno a me… anzi, ora che c’è la raccolta del fieno sono io che lavo i piatti e che rassetto le stanze da basso. Poi vado a passeggiare nel bel mondo di Dio e tutto mi sembra nuovo. Quant’è buono il Signore con noi peccatori! Quante gioie dà al mondo! Io mi rallegravo già tanto quando mi portavate i fiori e ora, pensa, posso raccoglierli da me…”

Con la guarigione dalla paralisi alle gambe i miracoli non erano però finiti.
Il 13 novembre di quello stesso anno Teresa Neumann ebbe un violento attacco di appendicite acuta con febbre altissima. Il medico curante, dottor Seidì, ravvisò la necessità di un’immediata operazione, da farsi nel vicino ospedale di Waldsassen.
Poiché la madre di Teresa piangeva disperatamente, la malata chiese al parroco padre Naber se potesse posare una reliquia di santa Teresa di Lisieux sulla parte dolente e implorare il suo aiuto. Il parroco non trovò nulla da obiettare e Teresa allora fece posare la reliquia sull’addome sofferente e pregò: «Santa Teresa! Tu puoi aiutarmi! L’hai già fatto tante volte! Non lo chiedo per me, ma sentì un po’ cosa sta combinando la mamma!».

Padre Naber, che fu presente tutto il tempo, così descrisse il fatto nel suo Diario:
«La malata si contorceva nel letto come un verme, mentre i presenti pregavano Santa Teresa. All’improvviso si voltò verso qualcosa, aprì gli occhi, il viso le divenne radioso, alzò le mani e le tese verso qualcuno davanti a sé, disse alcune volte: “Si”, e poi si drizzò. Premette alcune volte sulla parte ammalata chiedendo: “Veramente?”. Io domandai allora se fosse apparsa di nuovo santa Teresa e la risposta fu:
“Si, e ha detto che devo andare subito in chiesa a ringraziare Dio. Mamma, portami un vestito!”.

Si vestì e andammo in chiesa, tra lo stupore di tutta la gente del paese. Ogni dolore era passato. Durante la notte tutto il pus fu espulso per via naturale, solo le croste provocate dalla febbre sulle sue labbra durarono otto giorni. Oltre a sentire la voce, Teresa aveva visto questa volta anche una mano, bianca e sottile. La voce aveva detto: “La tua completa sottomissione e la tua gioia nel sopportare i dolori mi rallegrano. Affinché il mondo riconosca che questo è un avvenimento straordinario, non occorre che ti operi; ma va’ subito, subito, a lodare il Signore e a ringraziarlo. Tu dovrai soffrire ancora molto, ma non temere nulla, neppure i patimenti interiori. Solo così potrai contribuire alla salvezza delle anime. Dovrai sempre di più rinunciare al tuo io, ma resta sempre così, candidamente innocente…».
La strada di Teresa Neumann era segnata: visioni soprannaturali e sofferenze caratterizzeranno d’ora in poi la sua esistenza.

Le stigmate
Tra il 1923 e la fine del 1925 Teresa aveva miracolosamente recuperato la vista e la mobilità. A partire dall’inizio del 1926 si verificò una serie di fatti più straordinari ancora, se possibile: l’impressione delle stigmate, l’inizio del digiuno che doveva protrarsi per ben trentasei anni, fino alla morte, e il presentarsi di quelle visioni relative ai fatti biblici, alla vita di Gesù, della Madonna e dei santi che dovevano anch’esse accompagnare, con ritmo praticamente quotidiano, la vita della Resl, come Teresa Neumann veniva comunemente chiamata da amici e familiari.

Nel febbraio del 1926 Resl fu colta da malessere ed estrema debolezza, per cui dovette mettersi a letto dove rimase più di un mese, fino a Pasqua. La notte fra giovedì 4 marzo e venerdì, mentre era a letto tranquillamente e non pensava a niente di particolare, ebbe all’improvviso la visione di Gesù in ginocchio nell’orto degli ulivi e lo sentì pregare; vide anche i discepoli addormentati. Dentro di sé provò uno slancio d’amore e compassione per il Redentore: in quel momento lui la guardò fisso e Teresa sentì nella zona del cuore un dolore così intenso che credette di morire.

Quando si riprese, la zona era coperta di sangue e sul lato sinistro si era aperta una ferita che continuò a sanguinare fino al giorno dopo. Teresa riuscì a nasconderla a tutti, occultandola con bende. Alla sorella che dormiva con lei, disse di essersi bruciata.
Una settimana dopo, alla stessa ora, Teresa vide ancora Gesù nell’orto degli ulivi e in seguito anche la flagellazione. La settimana seguente assistette all’imposizione della corona di spine. Ogni volta la ferita al cuore sanguinava copiosamente fino al giorno dopo. Il venerdì della Passione, 26 marzo, Teresa vide Gesù portare la croce e cadere sotto il suo peso e quando si riprese dallo stato d’estasi, sulla sua mano sinistra si era aperta una ferita sanguinante che non fu possibile nascondere. Quando la madre le chiese come si fosse fatta male, Teresa dovette rispondere che la ferita si era formata da sola. La notte fra giovedì e venerdì santo (10 e 2 aprile) Teresa vide per la prima volta tutta la Via Crucis, dall’orto degli ulivi fino al Golgota e alla, morte in croce, e sulla mano destra e sui piedi si aprirono altre ferite.

Fu chiamato allora padre Naber, che accorse con un altro sacerdote: «Giaceva come una martire», scrisse il prelato nel suo Diario, «con gli occhi pieni di sangue, due strisce di sangue sulle guance, pallida come una moribonda. Fino alle tre, ora della morte del Salvatore, soffrì le pene spaventose della morte. Poi si calmò». La visione delle stigmate commosse profondamente il sacerdote, come aveva turbato e sconvolto i genitori e i fratelli di Teresa.

«Mi ci volle parecchio tempo prima che ritrovassi la mia calma interiore », scrisse ancora padre Naber nel suo Diario. Domenica 4 aprile, giorno di Pasqua, Teresa vide il Salvatore risorto, si sentì molto meglio e poté alzarsi dal letto. E’ bene sapere che Teresa Neumann non sapeva nulla delle stigmate e non le aveva affatto desiderate. Come ebbe a dire in seguito, un tale desiderio le sarebbe apparso una « peccaminosa presunzione». La notizia delle stigmate si diffuse molto rapidamente, con le conseguenze che ognuno può immaginare.

«Resl non riusciva ad abituarsi all’idea che la gente venisse a sapere che aveva quelle ferite», racconta il fratello Ferdinand. «Temeva di essere presa per pazza, di essere ritenuta una mistificatrice, un’isterica. Di carattere era riservatissima e avrebbe preferito che le ferite non si vedessero: se proprio era desiderio del Signore che lei le avesse, che fossero soltanto per lei. In seguito però capì che erano invece destinate soprattutto alla gente, che erano un segno divino per tutti.

Anche in seguito, quando si venne a sapere che non mangiava né beveva più, ebbe a dirmi in molte occasioni che avrebbe preferito essere come gli altri, visto che quel fatto attirava su di lei una curiosità morbosa. Per evitarla nei limiti del possibile, Teresa usò sempre guanti corti senza dita e maniche lunghe che coprivano quasi completamente le mani. E quando usciva dal paese, per non farsi riconoscere, invece di portare in testa il fazzoletto bianco che le era abituale, si vestiva tutta di nero come le vecchie contadine. Per il resto però accettò sempre volentieri ogni cosa inviata dal Salvatore, comprese le terribili sofferenze del venerdì, che continuarono fino alla morte».

All’inizio comunque la famiglia Neumann esitò a credere all’origine soprannaturale delle ferite e cercò di farle cicatrizzare prima con mezzi empirici e casalinghi, poi con l’aiuto del medico. Leggiamo dal Diario del pastore Naber: «Alcuni giorni dopo Pasqua venne il medico, dottor Seidì, ed esaminò le ferite. In precedenza si era tentato di far guarire le ferite con metodi casalinghi, però la malata non era riuscita a sopportarli. Anche l’unguento ordinato dal medico fu messo due volte sulle ferite, ma non fece bene. Io allora ordino a Teresa di applicare ancora una volta il medicamento, per non doverci poi sentir rimproverare di non aver usato a sufficienza i rimedi naturali.

Conseguenza della rinnovata applicazione sono gonfiori alle mani, ai piedi e al fianco e forti dolori. Quando togliamo l’unguento, i dolori cessano. Il 16 aprile il medico torna e fascia personalmente le ferite; subito però si presentano gonfiore e dolori. Io allora consento alla malata di fare quello che ritiene sia meglio. Le fasciature messe dal medico vengono tolte, le ferite sanguinano ma non fanno più male. Teresa si trova in grande imbarazzo a causa delle prescrizioni mediche e chiede consiglio alla piccola santa Teresa. Subito dopo l’invocazione alla santa, si accorge che le bende di lino che erano state poste a protezione delle ferite si allentavano: subito dopo smisero di sanguinare e si asciugarono. Da sabato 17 aprile a giovedì 22 aprile le ferite rèstarono chiuse.

Quella sera alle dieci Teresa era a letto e leggeva, quando le si ripresentarono davanti agli occhi le visioni del giovedì santo; le ferite ripresero a sanguinare e a dolere, cosa che fecero anche il venerdì. Sabato la situazione era di nuovo come la settimana precedente e le ferite erano chiuse. La settimana dopo successe la stessa cosa…». Questa situazione si ripeté fino alla morte di Teresa: le sue stigmate dolevano continuamente, ma sanguinavano soltanto durante la visione della Passione. Familiari e medico rimasero alquanto stupiti da quelle ferite che, se medicate, producevano atroci dolori e se invece lasciate stare non si infiammavano né si infettavano. E da allora in poi rinunciarono completamente a curarle.

Nel novembre di quello stesso anno 1926, tra il 18 e il 19 (giovedì, venerdì), mentre Teresa aveva la visione dell’incoronazione di spine, apparvero per la prima volta tre macchie di sangue nel fazzoletto bianco che usava portare in testa. Quando il fazzoletto fu tolto, i capelli risultarono imbevuti di sangue e tutta la testa era assai dolorante. La settimana successiva le macchie di sangue salirono a otto, e tali rimasero.

Le stigmate di Teresa Neumann furono oggetto di molti controlli medici, da parte anche di padre Agostino Gemelli che nel 1928 si recò a Konnersreuth come medico e come commissario di papa Pio XI. Padre Gemelli si era fatto sacerdote dopo la laurea in medicina ed era docente all’Università Cattolica di Milano, di cui era anche rettore. Dopo aver visitato la stigmatizzata, egli dichiarò: «Avendo visitato con la massima attenzione Teresa Neumann, dichiaro che non c’è assolutamente nessuna traccia di isterismo e, naturalmente, che le sue condizioni non sono scientificamente spiegabili».

In seguito padre Gemelli fece rapporto al pontefice, il quale impartì la sua benedizione a lui e a Teresa Neumann, la quale avvertì chiaramente quella benedizione e lo disse a padre Naber. Il documento con la benedizione apostolica giunse a Konnersreuth alcune settimane dopo.

Il digiuno
Alle stigmate intanto si aggiunse il digiuno. Da molto tempo, cioè fin da quando si era ammalata, Teresa aveva mostrato un sempre più scarso bisogno di nutrimento.
A partire dal 1922, anche a causa della paralisi che le bloccava i muscoli della deglutizione, si era nutrita soltanto di alimenti liquidi. Poi gradualmente, dal 1926 in poi, non aveva più sentito neppure la necessità di questi. Tuttavia, per compiacere la madre che comprensibilmente se ne preoccupava molto, accettava di ingoiare ogni giorno un paio di cucchiai di latte o succo di frutta, che però in genere rimetteva subito.

A partire dal Natale 1926 Teresa provò una totale ripugnanza per cibi e bevande e smise completamente di nutrirsi. Soltanto dopo la comunione quotidiana prendeva alcune gocce d’acqua per inghiottire meglio l’ostia; padre Naber tuttavia testimonia che dal settembre 1927 non ci fu più bisogno neppure di quella. Da allora, per quasi trentasei anni, Teresa visse senza mangiare né bere: la comunione era il suo unico, indispensabile nutrimento.

Padre Naber, che le diede la comunione ogni giorno fino alla morte, ha annotato nel suo Diario che Teresa affermava di vivere «del Salvatore». E aggiunge: «In lei si compie alla lettera la parola di Dio: “La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda”» Dell’autenticità del digiuno totale di Teresa Neumann non è lecito dubitare.

Dice Ferdinand Neumann: «In una famiglia numerosa come la nostra non sarebbe mai stato possibile simulare una cosa del genere. A che scopo poi? Teresa rifuggiva da ogni notorietà e la curiosità che, suo malgrado, la gente aveva per lei soprattutto per questa faccenda del digiuno le dava molto fastidio. Inoltre Konnersreuth è un piccolo paese e tutti partecipavano molto da vicino a quello che capitava a mia sorella. Teresa non avrebbe mai potuto nutrirsi di nascosto, per trentasei anni di seguito: ce ne saremmo accorti! In più mia sorella ha vissuto a più riprese per settimane intere a casa del professor Wutz, il famoso orientalista che era anche sacerdote, a Eichstàtt, e anche lì fu constatato che il suo digiuno era totale…».

Come abbiamo accennato in precedenza, a Konnersreuth vivono ancora molte persone che hanno conosciuto bene Teresa e hanno partecipato direttamente alla sua vita mistica, constatando di persona, con comprensibile stupore, i fenomeni straordinari di cui la loro compaesana era protagonista. Tutti concordemente descrivono Teresa come una donna di grande semplicità e disponibilità, di carattere allegro, gioviale, aperta al dialogo, innamorata della natura e di quello che chiamava «il bel mondo di Dio».

A titolo di esempio riporto le parole di Max Dietz, 83 anni, contadino, parente di Teresa (suo fratello è il marito di Agnes, l’unica sorella superstite di Teresa, oggi molto anziana): «Mio fratello e io siamo praticamente cresciuti insieme alla famiglia Neumann e abbiamo assistito ad ogni cosa. Ricordo i tentativi per far mangiare Teresa: ci provavamo tutti, senza risultato. Sembrava che avesse la gola chiusa. Neppure con la cannuccia le andava giù niente! Hanno sospettato inganni, frodi, ma sono tutte calunnie. Per trentasei anni, vivendo in una famiglia numerosissima e sempre piena di amici e conoscenti, ed essendo per di più sempre al centro dell’interesse e della curiosità di tutti, Teresa non ha mangiato né eliminato mai nulla: come avrebbe potuto fingere e fare ogni cosa di nascosto? Noi tutti l’abbiamo vista soffrire nel letto, per anni, cieca e paralizzata. Quando all’improvviso guarì, pensammo tutti subito a un miracolo: che altro avremmo potuto pensare? E anche il digiuno e le stigmate furono miracoli. Teresa ci ha abituato ai miracoli!». Le stigmate e il digiuno di Teresa Neumann, che venivano ad aggiungersi alle sue guarigioni miracolose di cui già avevano tanto parlato i giornali, attirarono sempre più l’attenzione generale.

Si mosse ufficialmente anche la Chiesa, e più esattamente la curia di Ratisbona da cui dipende Konnersreuth, e ordinò un rigorosissimo controllo che fu eseguito nel luglio 1927 in casa Neumann, su precisa richiesta del padre di Teresa. Johannes Steiner, che seguì per quarant’anni il caso di Teresa Neumann, così descrive i fatti nel suo libro:

«Nel luglio 1927, con la sua approvazione e su iniziativa della curia di Ratisbona, Teresa fu sottoposta ad una minuziosa e rigorosa sorveglianza di una commissione medica e di quattro suore di Mallensdorf. La curia aveva preventivamente interrogato alcuni esperti per sapere per quanto tempo una persona può, normalmente, vivere senza prendere cibo e bevanda. L’esito di questa indagine stabilì un periodo massimo di undici giorni, specialmente riguardo al bere. Su questo indice si decise di protrarre la vigilanza per quindici giorni. A due a due le suore, sotto giuramento, osservarono incessantemente Teresa durante quei quindici giorni secondo le istruzioni ecclesiastiche e mediche. E’ stata misurata l’acqua per sciacquarsi la bocca; sono state controllate tutte le secrezioni. Furono prese fotografie delle stigmate sanguinanti e il sangue stesso fu esaminato. Venne persino sottoposta, senza chiederle il permesso, a visite molto penose di cui per dieci anni lei si vergognò di parlare, perfino con i genitori.

Nel corso di tali accertamenti fu fatto, durante lo stato di estasi del venerdì, un esperimento di abbacinamento con una lampada ad arco di cinquemila watt, dirigendo un raggio luminoso sui suoi occhi spalancati. Se Teresa si fosse trovata in condizioni di sensibilità normale, questo esperimento avrebbe potuto provocare disturbi visivi molto gravi, specialmente a lei che già era stata affetta da cecità. Invece non si mosse, né batté ciglio, e ciò dimostra che nello stato di contemplazione visionaria era insensibile ad ogni impressione esterna. Nei quindici giorni non fu constatata la minima immissione di alimenti. Il peso, che all’inizio dell’esame era di 55 kg, scese durante le sofferenze del venerdì a 51 kg la prima volta e a 52,5 la seconda, e alla fine dell’esame ritornò al livello iniziale malgrado l’assoluto digiuno. Il peso medio di Teresa Neumann, nel corso degli anni seguenti, non è mai diminuito, anzi con l’età e per predisposizione ereditaria è piuttosto aumentato.
Ha sempre perduto peso nei venerdì (fino a 4 kg), ma lo ha recuperato regolarmente nel corso della settimana. Un organismo normale non sopporterebbe, a lungo andare e senza sostentamento, così continue variazioni di peso senza registrare notevoli disturbi…».

La curia di Ratisbona si dichiarò pienamente soddisfatta dell’esito del controllo.
Nel suo bollettino del 4 ottobre 1927 pubblicò infatti quanto segue: «L’esteso, esauriente rapporto dell’ufficiale sanitario dottor Seidì e il testo scritto di proprio pugno dal docente universitario professor Ewald, nonché i due gruppi di diari delle quattro suore ci convincono che un osservazione effettuata in un ospedale o in una clinica, come all’inizio era stato auspicato ma non fu possibile effettuare, non avrebbero potuto dare risultati migliori. Firmato: Scheglmann, vicario generale. Wùhrl, segretario».

Negli anni seguenti tuttavia furono fatte pressioni a Teresa perché ripetesse il controllo del digiuno. A un secondo esame tuttavia non si arrivò mai, perché i vescovi non furono d’accordo nella richiesta di un secondo esame che veniva da parte dei medici e dei politici. Inoltre il padre di Teresa, dopo aver appreso certi particolari del primo controllo, si oppose assolutamente a che ne venisse compiuto un secondo.

Egli stesso lo espresse chiaramente in una lettera al vescovo di Ratisbona, monsignor Michael Buchberger: la lettera è datata 10 marzo 1937. “Rev.mo signor vescovo, in questi giorni ho appreso da mia figlia una cosa che cambia radicalmente il mio atteggiamento riguardo a un rinnovato esame clinico. Durante l’osservazione ordinata dal suo predecessore, il professor Ewald, senza che io lo sapessi e senza il permesso di mia figlia, l’ha visitata in rapporto alla sua verginità. Mia figlia, non essendo nelle condizioni di potersi opporre, ha dovuto subire l’affronto senza protestare, ma il professor Ewald non doveva mai farlo senza il suo consenso. In tutti questi anni lei non mi ha mai parlato del fatto, perché si vergognava…

E’ inaudito e vergognoso sotto ogni aspetto che da parte della curia, sotto il titolo di «osservazione del mancato nutrimento», si concedano pieni poteri a un medico, e per di più a un medico protestante, poteri che gli consentono di trattare e visitare una ragazza illibata come una prostituta alla sezione di polizia. Con ciò ogni discorso intorno a nuovi esami medici è definitivamente chiuso… Stigmate e digiuno non autorizzano in alcun modo a tale incredibile impudenza, che non si oserebbe imporre a un essere normale. Ad ogni buon conto, a me non capiterà di certo mai più che si abusi della fiducia della mia famiglia in modo così vergognoso, visto che neanche gli ordini del vescovado garantiscono protezione alcuna. Con reverenza. FERDJNAND NEUMANN.

Nella sua opposizione netta e precisa Ferdinand Neumann fu confortato dal sostegno dei vescovi: monsignor Michael Rackl, vescovo di Eichstàtt, lo esortò a non aderire per nessuna ragione a un nuovo esame; e il cardinale Preysing di Berlino, che era stato in precedenza vescovo di Eichstàtt e conosceva quindi molto bene la situazione, affermò pubblicamente: «Mi rallegro molto che il padre abbia una testa così dura. E’ ovvio che un medico non crederebbe ai risultati dell’altro, né una clinica all’altra».

Johannes Steiner riferisce nel suo libro che papa Pio XI avrebbe detto al cardinale Schuster con riferimento a Teresa Neumann e al problema di un ulteriore controllo: «Lasciatemi in pace quella creatura!». Steiner aggiunge poi, a titolo personale, che il padre di Teresa aveva detto a più riprese: « Per conto mio possono mettere Teresa in una cassa di vetro e osservarla quanto vogliono, ma non permetterò mai che si facciano esperimenti su di lei ». Egli temeva infatti che se la figlia fosse stata ricoverata in clinica per accertamenti relativi al digiuno le cose sarebbero andate come la prima volta; in più probabilmente avrebbero tentato di nutrirla con sonde o avrebbero fatto esperimenti sulle stigmate.

Questi ultimi timori erano stati espressi a Ferdinand Neumann da amici medici ed erano pienamente giustificati, anche perché durante il terzo Reich nessuno sapeva cosa potesse capitare in una clinica. Teresa fu quindi lasciata in pace. Nel suo Diario padre Naber racconta di averle chiesto, mentre si trovava in stato di estasi, che cosa si poteva sperare da un nuovo esame, e lei aveva posto: «Se il Salvatore si fosse riproposto di ricavare da un nuovo esame qualche cosa in suo onore e che fosse utile alla salvezza della gente, avrebbe da tempo già portato a termine la faccenda!».

Resta da aggiungere, per completare il quadro relativo al digiuno di Teresa Neumann, che tale digiuno ebbe un’importante conferma indiretta: durante il terzo Reich Teresa fu cancellata dalle liste annonarie e dall’inizio della guerra fino alla riforma monetaria del 1948 non ebbe la tessera alimentare. Le fu concessa invece una doppia razione di detersivi per lavare la biancheria che ogni venerdì inondava di sangue. Teresa Neumann, la sua famiglia e i suoi amici furono sempre nettamente contrari al nazismo, e non ne fecero certo mistero; ciò nonostante non ebbero fastidi di alcun genere. Hitler ebbe, a quanto pare, rispetto di lei e la parola d’ordine nei suoi confronti era: «Konnersreuth non si tocca! ».

A proposito del digiuno di trentasei anni di Teresa Neumann, il gesuita dottor Carl Stràter, che fu incaricato dal vescovo di Ratisbona monsignor Rudolf Graber di studiare la vita della stigmatizzata di Konnersreuth e di raccogliere materiale in vista di una possibile beatificazione, afferma: «Il significato del digiuno di Teresa Neumann è stato quello di dimostrare agli uomini di tutto il mondo il valore dell’eucarestia, far capire che Cristo è veramente presente sotto la specie del pane e che attraverso l’eucarestia può conservare anche la vita fisica ».

Caratteristiche generali delle visioni
Quello delle visioni è un fenomeno molto antico, conosciuto da sempre, applicato in genere alla storia delle religioni e ritenuto strumento di rivelazioni soprannaturali.
Oltre alle visioni singole, destinate a persone dal temperamento mistico, si conoscono anche le visioni collettive, di cui è partecipe un gruppo o addirittura una folla; e si conoscono le visioni legate al luogo, come quelle famose del tempio di Asclepio a Epidauro, dove il dio appariva in sogno a tutti coloro che venivano a consultarlo.

Le visioni ricorrono sia nelle religioni primitive sia in quelle superiori, e accompagnano la maggior parte delle forme mistiche e profetiche: i fondatori di religioni hanno visioni che sovente costituiscono il punto di partenza della loro conversione.
Le visioni possono produrre anche fatti di importanza storica, come la famosa visione di Costantino. I profeti di Israele ebbero visioni, e sulle visioni si basa l’Apocalisse di san Giovanni; ne parlano inoltre san Paolo nella seconda lettera ai Corinzi (c. 12) e i Padri della Chiesa.

Nella storia della mistica le visioni sono diffusissime. Concretamente, le visioni sono impressioni ottiche ricevute a occhi aperti durante l’estasi dai veggenti, i quali partecipano con movimenti del corpo e degli occhi agli eventi che vedono svolgersi davanti a sé: essi «vedono» con gli occhi della mente, in quanto i loro nervi ottici non possono in realtà registrare altro che quello che si trova nell’ambiente circostante.
I sogni avvengono invece ad occhi chiusi, e in questo si differenziano dalle visioni.

Le allucinazioni possono provocare impressioni vive al pari delle visioni, ma si distinguono da queste in quanto sono prodotte o da disposizioni patologiche fisiche o da immissione nel corpo di determinate sostanze stimolanti, e sono quindi provocate artificialmente. Si può parlare di visione soltanto se non c’è alcun intervento del veggente e se il contenuto della visione stessa fa pensare a un’illuminazione. L’autentica visione è indipendente dalla volontà di chi la riceve e da qualsiasi manipolazione o suggestione.

In molti casi la visione è collegata all’audizione, cioè il veggente sente rumori, suoni e soprattutto parole e dialoghi delle persone che vede muoversi e agire. Altre volte sono implicati altri sensi, come l’odorato (Teresa Neumann sentiva per esempio il profumo dei balsami), oppure vengono avvertite sensazioni di caldo o freddo. Le visioni iniziano di solito inaspettatamente con una sorta di raptus, che consiste nell’essere di colpo strappati via dalla realtà circostante e dal colloquio con le persone con le quali si è in compagnia, e nell’essere trasportati in un’altra realtà, con tutta l’attenzione concentrata sulla nuova dimensione e sulle impressioni che da questa giungono.

Data la difficoltà di valutare la realtà o meno delle visioni, la Chiesa le considera con molto riserbo e prudenza e parla di «rivelazioni private»; analizza le doti morali del visionario, le sue virtù, l’eroicità della sua vita, la sua capacità di farsi autentico seguace di Cristo. Controlla anche se le doti visionarie siano accompagnate da altri carismi, quali le stigmate, il digiuno, la bilocazione, la levitazione, la capacità di leggere nell’animo altrui, di conoscere eventi lontani, di riconoscere le reliquie, e altro ancora. Abbiamo visto come Teresa Neumann presentasse gran parte di questa fenomenologia, riscontrabile peraltro nella vita di altri mistici cristiani.

Basti pensare a Policarpo di Smirne, Francesco d’Assisi, Ildegarda di Bingen, Angela di Foligno, Caterina da Siena, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Nikolaus de la Flùe, Anna Katharina Emmerich, Teresa di Lisieux, Gemma Galgani, Padre Pio.
Occorre chiedersi quale attendibilità storica sia da attribuirsi alle visioni, visto che confrontando i contenuti delle visioni sugli stessi temi presso i diversi mistici si constatano a volte delle differenze, che hanno indotto certi critici a negare ogni attendibilità storica alle visioni stesse.

Bisogna però considerare che, come sottolinea la Chiesa, le visioni vengono date al veggente per la sua personale edificazione e anche per rafforzare la fede delle persone che gli stanno attorno. Inoltre in ogni visione c e sempre un aspetto soggettivo, in quanto ogni veggente ha sempre un suo modo di percepire e raccontare quanto ha visto; ed è anche sempre possibile un influenzamento involontario da parte di contenuti inconsci o ricordi dimenticati. Bisogna poi tener presente che chi raccoglie le parole del veggente e le mette sulla carta ha a sua volta un suo modo soggettivo di recepire e descrivere, il che può produrre altre modificazioni, sia pur lievi e involontarie.

Valga per tutti l’esempio di Anna Katharina Emmerich, le cui visioni furono raccolte e trascritte da Clemens Maria Brentano, che era un poeta e aveva quindi più di altri un suo modo particolare di esprimersi e di porsi di fronte ai fatti. E’ perciò difficile dire se le differenze tra le visioni della Emmerich e quelle della Neumann dipendano da contenuti effettivamente differenti o da modi diversi di esprimerli. Lo stesso può dirsi di tanti altri casi. Nel caso particolare di Teresa Neumann, c’è da dire – come del resto abbiamo già fatto osservare precedentemente – che quando iniziarono le visioni ella era una semplice contadina con ben poche letture al suo attivo.

Le uniche immagini della Via Crucis che le fossero note erano quelle della chiesa parrocchiale di Konnersreuth. E tuttavia quello che vedeva assistendo il venerdì alla passione e morte di Cristo era diverso dai quadri della chiesa di Konnersreuth e corrispondeva invece all’autentico ambiente di Gerusalemme, agli abiti e agli arredi dell’epoca.
E’ bene ricordare inoltre che le visioni di Teresa Neumann si ripetevano ogni anno in corrispondenza del ricorrere storico dei diversi avvenimenti (la passione addirittura ogni venerdì), e conservarono nel corso dei decenni le stesse caratteristiche e lo stesso ritmo che, se non è determinante ai fini della realtà storica, ha tuttavia un suo peso.

Le visioni di Teresa Neumann
Le estasi della Resl erano caratterizzate dal raptus improvviso con cui iniziavano e che la distoglievano completamente dal tempo e dal luogo in cui si trovava, rendendola insensibile a ogni cosa terrena. Tra una visione e l’altra subentrava il cosiddetto stato
di «quiete soprannaturale», che le ridava forza tra le estasi dolorose e la gioiosa consapevolezza dell’unione col Salvatore. Tale stato si presentava anche dopo ogni comunione.

Durante la «quiete soprannaturale» Teresa poteva essere interrogata e rispondeva alle domande. In particolare il pastore Naber le chiedeva chiarimenti e dettagli su ciò che aveva visto nelle visioni, cosa che nello stato normale Teresa non era capace di fare. Nello stato di quiete indicava invece con precisione le caratteristiche dei personaggi che aveva visto, le collegava ad altri incontri e visioni, commentava contenuto e decorso dei fatti.

Le descrizioni delle visioni che figurano in questa parte del libro si basano appunto sui racconti fatti da Teresa in quello stato e accuratamente raccolti e registrati da padre Naber, Fritz Gerlich, Johannes Steiner, dal fratello Ferdinand e altri ancora. Come abbiamo già visto, per Teresa Neumann le visioni erano cominciate ben presto: la prima volta quando aveva appena undici anni, in occasione della Prima Comunione. Alla piccola Resl, nel momento in cui riceveva dal parroco l’ostia benedetta, era apparso Gesù Bambino e lei aveva creduto che fosse normale così e che la stessa cosa capitasse anche agli altri bambini.

Da quel momento si era destato in lei un grande amore per il Salvatore presente nel sacramento della comunione. Teresa aveva avuto poi numerose altre visioni in occasione delle guarigioni miracolose di cui era stata protagonista: più volte le era apparsa una luce straordinaria, e una voce amichevole le aveva parlato annunciandole la guarigione dalla cecità e poi dalla paralisi. Quando nel 1925 era stata guarita dall’attacco di appendicite acuta, le era apparsa anche una mano bianca e sottile che l’aveva aiutata a sollevarsi dal letto.

Le visioni della passione, che continuarono per tutta la vita della Resl, ebbero inizio nella primavera del 1926 e accompagnarono l’apparizione delle stigmate. Ne abbiamo già parlato descrivendo la vita di Teresa Neumann, tuttavia per una più completa e approfondita documentazione dei fatti riportiamo qui di seguito il protocollo di una serie di domande e risposte risalenti al 1953: Teresa si trovava allora ad Eichstàtt e il vescovo Josef Schròffer, col consenso di Teresa stessa, incaricò una commissione composta da due docenti universitari, che erano anche sacerdoti, di interrogare Teresa sotto giuramento sui fatti salienti della sua vita. Il colloquio avvenne il 13 gennaio 1953, previo giuramento di Teresa Neumann davanti a un crocifisso e a due candele accese. Riportiamo alcune domande.

D: Lei ha desiderato di avere le ferite di Cristo?
R: “Non ho mai desiderato di avere le stigmate; fra l’altro non sapevo nulla di questa grazia particolare, del modo in cui si manifesta e della sua importanza”.

D: Ha personalmente fatto qualcosa per provocare le stigmate?
R: “Ovviamente non ho mai fatto nulla per produrle. Si tratta di una cosa a me del tutto estranea2.

D: A che cosa stava pensando quando si manifestarono le stigmate? Come si comportò dopo che le ebbe ricevute?
R: “Durante la Quaresima del 1926, un giovedì sera ero intenta a pregare; non pensavo in modo particolare alla passione di Cristo quando improvvisamente vidi per la prima volta il Salvatore adulto. Era nell’orto degli ulivi, sudava sangue e pregava così:
«te sebud ach
». Allora il Salvatore mi guardò con amore e in quel momento io ebbi la sensazione che con un oggetto appuntito mi trapassassero il cuore da destra a sinistra e poi ritirassero l’oggetto.

Mi accorsi subito che perdevo sangue caldo (e in seguito vidi anche la ferita). Poi non vidi più il Salvatore nell’orto degli ulivi e non seppi neppure più di essere nel mio letto. Non ero però del tutto priva di coscienza: sentivo un forte dolore al cuore, che fra l’altro, ad accezione della settimana di Pasqua, non mi abbandona mai completamente; ero come fuori di me e riflettevo su ciò che avevo visto e sperimentato. Da una vecchia amica, che era allora la governante del parroco, mi veniva spesso a trovare e per anni mi aveva procurato le bende per le mie piaghe da decubito, mi feci dare qualcosa per coprire la ferita al cuore.

A quel tempo, e ancora per molto tempo, non compresi l’importanza di questa ferita e neppure mi resi conto che mi sarebbe rimasta: continuavo infatti a pensare alle missioni. Non so se la mia vecchia amica abbia capito allora questa importanza. Mi dava tuttavia da pensare l’annuncio che avevo avuto dalla piccola Teresa, cioè che avrei dovuto soffrire ancora molto e a lungo, e nessun medico avrebbe potuto curarmi.

Il venerdì successivo vidi le sofferenze nell’orto degli ulivi e le sofferenze della notte fino alla flagellazione; il terzo venerdì fino all’incoronazione di spine, il quarto anche la Via Crucis fino al ricovero del Salvatore in una tomba diroccata dove dovette aspettare di essere crocifisso; il venerdì santo vidi tutta la passione del Signore fino alla sepoltura. Mentre gli conficcavano i chiodi, il Signore mi guardò con amore come quando avevo ricevuto la ferita al cuore, e in quel momento sentii alle mani un dolore acuto e opprimente, nel punto in cui da allora ho le ferite alle mani. Queste ferite da principio erano soltanto sul dorso delle mani, in forma arrotondata, ben delineata, come scavata; soltanto in seguito, un venerdì dello stesso anno, le ferite hanno attraversato tutta la mano; la data esatta non la ricordo più.

Un venerdì santo, credo del 1927, assunsero la forma attuale, quadrata. Quando gli inchiodarono i piedi, il Salvatore mi guardò di nuovo con amore e in quel momento, nel punto dove sono le attuali ferite ai piedi, sentii lo stesso dolore acuto della volta precedente, però ancora più forte. Le ferite ai piedi subirono la stessa trasformazione di quelle alle mani, nello stesso giorno di quelle.
Io mi feci fasciare le ferite da mia sorella Crescenzia, che abitualmente mi curava; le feci promettere però che non ne avrebbe parlato con nessuno e personalmente feci l’impossibile per nascondere le ferite. Ero peraltro certa che quelle ferite sarebbero sparite. Usai quindi, insieme a mia madre, diversi rimedi casalinghi (decotti di foglie di begonie e geranio e unguenti vegetali fatti dalla mamma). Naturalmente non mi era stato possibile evitare che mia madre, che dormiva in camera con me, e attraverso di lei il signor parroco, mio padre e i miei parenti si accorgessero delle ferite”.

D: Ha fatto qualcosa per impedire una guarigione o una trasformazione delle ferite?
R: “Ho fatto il contrario, anche con l’aiuto del nostro medico di famiglia, dottor Seidì, il quale mi fece delle cure che mi procuravano un gran dolore e gonfiore delle mani e dei piedi. Quando non ne potei più, una notte dopo che il medico mi aveva spalmato le ferite di unguento e le aveva fasciate, invocai la piccola santa Teresa, che venero dal 1917, e le chiesi di aiutarmi a far guarire le ferite oppure a darmi in qualche modo consiglio e sollievo. Il medico infatti aveva proibito di cambiare le fasciature. La santa da me invocata mi aiutò. Il gonfiore diminuì e quando le fasciature divenute ormai troppo larghe furono tolte ci si accorse che sui punti feriti, che fino ad allora erano stati umidi, si era formata una pellicola gelatinosa”.

D: Che cosa pensa adesso personalmente delle sue stigmate?
R: “Ho riconosciuto di aver ricevuto in queste stigmate la volontà di Dio e quindi le porto di buon grado come tutto ciò che Dio manda, soprattutto in spirito di espiazione per gli altri e per avvicinare le anime al Salvatore; a far questo mi invita ogni anno la piccola santa Teresa (il 17 maggio e il 3 ottobre). Osservo ancora che in quello stesso anno (1926) alle altre ferite permanenti si sono aggiunte quelle alla testa, che si sono formate allo stesso modo delle altre (sguardo del Salvatore mentre lo incoronano di spine). Come ferite transitorie porto quella alla spalla destra (durante la Quaresima) e le ferite della flagellazione (il venerdì santo), che si formano anch’esse allo stesso modo delle altre” (sguardo del Salvatore quando si carica della croce presso la casa di Pilato e durante la flagellazione).

Con riferimento alle due date citate da Teresa Neumann, va detto che il 17 maggio è il giorno della canonizzazione di santa Teresa di Gesù Bambino (in quel giorno, come abbiamo visto, Teresa fu guarita dalla paralisi alla schiena). Il 3 ottobre è di più difficile individuazione. Santa Teresa morì il 30 settembre; tuttavia si può notare che nel 1927 papa Pio XI proclamò santa Teresa di Lisieux patrona dei missionari e delle missioni, e stabilì che fosse solennemente festeggiata il 3 ottobre.

In queste due date dunque Teresa Neumann veniva, per sua stessa ammissione, incoraggiata e rafforzata nella fede dalla sua santa protettrice. In che modo Teresa Neumann assistesse ogni venerdì alla passione e morte di Gesù Cristo è già stato descritto nella prima parte di questo libro. Tra le tantissime visioni che la Neumann ebbe durante la sua vita, ne riportiamo alcune di cui traiamo la descrizione soprattutto dai libri di Johannes Steiner dedicati in particolare alle visioni, dal testo di Fritz Gerlich e dal Diario di padre Naber.

L ‘Annunciazione
Teresa Neumann vede una giovane donna, quasi ancora una ragazzina, in una piccola casa, immersa nella preghiera. All’improvviso davanti a lei c’è un uomo luminoso, non è entrato, semplicemente è lì. Steiner, che era presente alla visione, chiese a questo punto alla Resl: « Aveva grandi ali? ». E lei: « Che cosa ti viene in mente, gli uomini luminosi non hanno bisogno di ali». L’uomo luminoso si inchina davanti alla fanciulla spaventata e parla: « Schelam lich, Mirjam, gaseta… », poi alcune altre parole.


Steiner chiede: « Lentamente, che cosa viene dopo gaseta?». Teresa riflette, poi dice: «Avresti dovuto scrivere più in fretta, ora non lo so più». Si tratta dell’annuncio dell’angelo Gabriele: «Ti saluto Maria, piena di grazia ». Maria, sempre spaventata, però con l’espressione più fiduciosa, guarda la figura luminosa. L’angelo dice altre cose solenni. Lei chiede qualcosa e l’angelo le risponde. Quando l’angelo finisce di parlare, la fanciulla china la testa e dice un paio di parole. In quello stesso momento Teresa Neumann vede una gran luce provenire dall’alto ed entrare nella fanciulla, mentre l’angelo si inchina di nuovo e scompare.

Questa fu la descrizione di Teresa nello stato di quiete che seguiva immediatamente le visioni. Quando fu tornata allo stato normale, Steiner le chiese di cercare di completare la descrizione con qualche altro particolare, per esempio relativo alla casa. Nello stato normale Teresa conservava infatti qualche impressione di ciò che aveva visto. La descrizione della casa di Maria è la seguente: la casetta si trova a ridosso di una collina, davanti c’è una fonte. Il muro posteriore della casa è costituito da una roccia, ha il tetto piatto sul quale si può camminare. Al muro anteriore si arrampica una vite. Attraverso una porta, chiusa soltanto da una tenda, si entra in una piccola stanza. Lì pregava Maria e in seguito la sacra famiglia. C’è un’unica finestra, piuttosto alta, che non ha vetri come le nostre, ma è aperta e ha inferriate fatte di legno.

Da questa stanza una porta a destra conduce in un altro ambiente, dove Maria lavora; li mangiano anche. C’è un focolare aperto, con un camino in alto per il fumo.
Qui Maria, e in seguito il piccolo Salvatore, dorme su una stuoia, che di giorno sta arrotolata in un angolo. Si dorme avvolti in coperte. Qui si trovano anche sedili allungati, con un appoggio obliquo dilato, per sostenere la parte superiore del corpo durante il pasto. Da questa stanza un’altra porta immette in un terzo locale: la stanza dove San Giuseppe lavora e dorme. Una porta conduce da questa stanza all’esterno, accanto a questa porta c’è una scala per salire sul tetto. Proprio di fronte c’è una piccola stalla per l’asino che la sacra famiglia possiede.

Le visioni di Natale
Riportiamo queste visioni un po’ abbreviate; esse si riferiscono a vari giorni.
22 dicembre: partenza da Nazaret per Betlemme Giuseppe rientra e annuncia a Maria che per ordine dell’imperatore Augusto era stato disposto un censimento di tutta la popolazione dell’impero romano; dato che bisognava farsi censire nella città natale, bisognava partire subito per Betlemme. Maria attendeva per i prossimi giorni il parto, per cui quest’ordine per lei era duro da accettare. Tuttavia disse che non restava altro da fare che obbedire. Giuseppe temeva che il viaggio fosse troppo pesante per Maria e propose di viaggiare da solo. Maria però gli rispose che Dio avrebbe aiutato e che era bene obbedire alle autorità. Così si prepararono per il viaggio.

Come animale da trasporto e insieme come cavalcatura presero un’asina, per poterne usare il latte. Fu caricata la tenda grigia e sopra di questa una coperta grigia di lana.
Il resto del bagaglio fu appeso ai fianchi dell’asina, a sinistra un pacco contenente una coperta di lana per Giuseppe, dentro la quale erano custoditi pane, frutta e un vestito caldo per lui. A destra c’erano due pacchi: quello davanti, più piccolo, consisteva di una semplice coperta di lana che poteva all’occorrenza essere tagliata per farne dei pannolini; dentro a questa coperta c’erano le camicine e i pannolini per il bambino che doveva nascere. L’altro pacco conteneva un abito caldo per Maria e altro cibo.

A questo pacco erano fissati orizzontalmente i tre pali della tenda. La partenza avvenne verso le sei del mattino. Maria si sedette sull’asina, con i piedi verso sinistra, Giuseppe camminava davanti a sinistra accanto all’ animale che era legato a briglie di pelle.
Nella mano sinistra Giuseppe aveva un bastone da viaggio, nella destra le briglie. Indossava una veste di colore giallo scuro e un mantello marrone.

Maria indossava un caldo mantello grigio scuro, veste marrone rossiccio e scialle giallo di lana sotto al mantello. Il tempo era piuttosto freddo e piovoso, le strade sdrucciolevoli e fangose. Il viaggio in quella prima giornata fu buono, però non riuscirono a trovare una locanda per pernottare; così la sera montarono la tenda all’aperto in una zona deserta presso alcuni alberi e dormirono sulle coperte che avevano portato con sé. L’asina fu legata a un albero.

23 dicembre: sulla via per Betlemme Al mattino dopo Maria e Giuseppe si misero in viaggio alle 5 e mezzo circa. Procedettero senza fermarsi fino a mezzogiorno, e per risparmiare l’asina Maria ogni tanto faceva dei tratti a piedi. Verso mezzogiorno Maria si sentì stanca e vedendo in lontananza una casa ringraziarono Dio e vi si diressero.
Qui viveva una coppia di sposi piuttosto anziani, con un ragazzo e una ragazza. Giuseppe entrò nella casetta e chiese aiuto per le cose indispensabili. L’uomo uscì, andò incontro a Maria e la pregò di entrare. Prima non si erano mai conosciuti. Vedendo Maria in avanzato stato di gravidanza e molto pallida – in genere però il suo aspetto era forte e sano – i due sposi offrirono a, lei e Giuseppe il loro pranzo caldo.

Il Salvatore in seguito li ricompensò. I due vecchi morirono essendo ancora pagani, però molto buoni. I due ragazzi divennero cristiani. Prima sentirono le prediche di Giovanni Battista e il fratello si fece battezzare da lui. Poi segui il Salvatore e fu tra i primi settantadue discepoli; la sorella si occupò della casa e appunto mentre stava togliendo dall’abitazione tutto ciò che era pagano e in particolare voleva levare dal tetto l’immagine di un idolo, arrivarono i suoi parenti e la fecero precipitare dal tetto facendola morire.

La seconda notte Giuseppe e Maria la passarono in una piccola locanda dove dovettero pagare per l’alloggio. Dormirono molto bene e presero forza per la successiva giornata di viaggio.
24 dicembre: ricerca di un ricovero Alle sei Maria e Giuseppe si misero di nuovo in viaggio. Dopo mezzogiorno l’asina camminava con molta fatica e in una piccola località ottennero gratuitamente del cibo per lei. Il tempo era piovoso e freddo. Verso sera erano alle porte di Betlemme: Maria scese dall’asina davanti alla porta settentrionale e poi entrò seguendo Giuseppe. Betlemme contava allora circa mille e cento abitanti.

Le case, come a Gerusalemme, avevano il tetto piatto. Avevano finestre quadrate, piccole, o anche rotonde, senza vetri, con inferriate di legno e tende. Per la strada erano già accesi dei fuochi. Le strade erano lastricate con grandi pietre e quindi scivolose. Giuseppe entrò in una casa a destra della strada, mentre Maria teneva stretta l’asina.
Ben presto Giuseppe uscì, e con espressione triste comunicò a Maria che qui non potevano pernottare. Proseguirono e Giuseppe chiese alloggio in una locanda poco oltre, una casa grande e lunga. Gli fu detto che non c’era più posto. Turbato, tornò da Maria che cercò di consolarlo.

Cercarono poi, senza successo, in altre case, in particolare in una casa a sinistra della strada, quella dove Giuseppe era nato e dove doveva farsi censire. C’era molta gente, per cui Giuseppe pensò di rimandare la cosa al giorno dopo. Maria però lo sollecitò a provvedere subito, perché sentiva che la sua ora era vicina. Attesero quindi che ci fosse meno gente e si fecero censire. Nel frattempo si era fatta notte piena. Infine Giuseppe chiese a un altro uomo dove potesse alloggiare con Maria. L’uomo era gentile; disse loro che in città non c’era più posto, e suggerì loro di andare al settore meridionale e di uscire dalla città seguendo la strada per un breve tratto: li avrebbero trovato, a destra, una stalla dov’egli consentiva loro di alloggiare: infatti era comproprietario di quella stalla.

I suoi pastori erano tra quelli che in seguito adorarono Gesù. Maria e Giuseppe seguirono l’indicazione; per raggiungere la stalla Giuseppe accese la lampada che aveva portato con sé; poi seguirono a piedi la strada per circa duecento metri e a destra trovarono la stalla che distava circa cinquanta metri dalla strada. Alle otto circa Giuseppe, Maria e l’asina entravano nella stalla.

La stalla era lunga circa sette metri e larga quattro. Era costruita sul dorsale orientale di una collina, accanto a una caverna che si apriva nella roccia. Il tetto era fatto di legno vecchio e spesso, come anche le pareti laterali e quella anteriore della stalla. Alla parete di destra c’era una piccola finestra. Giuseppe legò l’asina a un palo, e più tardi a un altro palo accanto al bambino, perché lo scaldasse. Appese la lampada al soffitto al centro della stalla. Poi preparò il giaciglio per Maria e per sé. Per Maria stese su della paglia il telo della tenda e la coperta grigia di lana, per sé usò una coperta di lana e paglia. Maria doveva dormire a destra della stalla, lui a sinistra. Il cielo era coperto di nubi.

24-25 dicembre: notte santa La visione della notte di Natale avveniva sempre per Teresa in tempi reali, cioè verso la mezzanotte del 24 dicembre. Ad essa assistettero più volte padre Naber, il dottor Gerlich, il professor Wutz, Steiner e altri amici di Teresa.
Durante questa visione il suo viso era raggiante di gioia. Teresa non vedeva la nascita vera e propria di Gesù. In base alle annotazioni del pastore Naber, basate sulle descrizioni di Teresa nello stato di quiete, i fatti venivano da lei visti in questo modo (riportiamo letteralmente le note del sacerdote): «Verso le undici di sera Maria entra in estasi. Si solleva in ginocchio e incrocia le braccia sul petto.

Il bambino divino lascia verso mezzanotte il grembo materno, che si richiude subito intatto e incontaminato; non ci sono dolori né prima né dopo. Giuseppe aveva riempito una mangiatoia di paglia: sotto paglia di frumento e sopra morbidi giunchi. La mangiatoia era lunga circa un metro, non tutte le mangiatoie erano uguali. In questa mangiatoia Maria pose il bambino, dopo averlo asciugato, avvolto in pannolini, coperto di una camicina a maniche lunghe e di una copertina di lana. Poi pregarono, Giuseppe a destra e Maria a sinistra del bambino, Giuseppe a mani giunte, Maria a braccia incrociate sul petto. Alla nascita di Gesù il cielo divenne chiaro e pieno di stelle». Teresa aggiunse che il bambino aveva gli occhi azzurro-scuri e i capelli chiari.

L’annuncio ai pastori
La visione dell’annuncio ai pastori della nascita di Cristo iniziava una mezz’ora circa dopo mezzanotte. Teresa Neumann si vedeva trasportata davanti a una capanna che distava circa mezz’ora dalla stalla, in direzione sud, su una collina a cinquanta metri dalla strada. Tutta la zona era collinosa. La capanna era alta meno di due metri, coperta di giunchi, appoggiata e inserita in una roccia. Era grande circa la metà della stalla di Betlemme.

In questa capanna otto pastori avevano il loro riparo notturno; dormivano su giunchi e si coprivano con coperte e pelli di pecora. C’erano anche tredici pecore grandi e piccole, bianche e marroni, e due cani, uno grande nero e uno piccolo marrone, col pelo lungo e le orecchie pendenti. Questi stavano dentro la capanna; fuori c’erano circa cinquecento pecore. All’improvviso si fece chiaro, e tutti nella capanna si spaventarono.

Con circospezione i pastori spiarono fuori della capanna per vedere quale potesse essere la causa della luminosità. E che cosa videro? A una distanza di circa tre metri, a un’altezza di circa tre metri, davanti al lato occidentale della capanna, su una nube lucente stava un angelo, una figura di giovinetto fatto di luce, con la veste bianca splendente dalle maniche lunghe e la cintura. Era quello che aveva detto a Maria « Schelam lich Mirjam ». I suoi capelli lunghi avevano la discriminatura al centro. La mano sinistra era posata sul petto, la destra era alzata. Non aveva ali. Tutto il paesaggio circostante era illuminato dalla luce che emanava dall’angelo.

L’angelo parlò ai pastori in maniera da tranquillizzarli, con voce chiara, amichevole e solenne; parlò loro nella loro lingua. Due volte indicò con la mano destra verso sinistra. Quando finì di parlare, intorno a lui apparvero molti altri angeli (angeli normali, circa seicento), anch’essi luminosi e su nubi lucenti.

Quando ebbero innalzato un meraviglioso canto con i pastori che ascoltavano con grande attenzione, la schiera celeste scomparve. I pastori ora discussero fra loro per circa un quarto d’ora; poi si mossero in direzione di Betlemme. Le tredici pecore e i due cani che erano nella capanna andarono con loro. La stalla in cui era nato il Redentore apparteneva al padrone di questi pastori. In questa stalla i pastori speravano di trovare il bambino neonato. La loro speranza crebbe quando dalla strada videro la luce uscire dalla finestra della stalla. Giunti alla stalla, i pastori adorarono il bambino.

Regalarono alla sacra famiglia una pecora e un agnello. In seguito Giuseppe li vendette per comprare col ricavato le cose più necessarie al bambino.

I Re Magi
In base alle visioni di Teresa Neumann, i nomi di questi tre re, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, tramandati dalla tradizione ecclesiastica, sono più o meno esatti.
Essi erano autentici principi regnanti, molto ricchi, non autoritari e prepotenti, ma cordiali con la gente. Baldassarre veniva dalla Nubia, un paese ricco d’oro. Aveva poco più di 40 anni e viaggiava con settanta servitori, venti soldati, otto saggi (ognuno dei quali aveva due servitori e una moglie). Baldassarre aveva circa venti sapienti presso di sé. Melchiorre veniva dall’Arabia, un paese ricco di messi e di spezie. Aveva circa 55 anni e aveva portato con sé circa quaranta servitori, cinquanta soldati, cinque sapienti ognuno dei quali aveva due servitori e due mogli. Gaspare veniva dalla Media, un paese ricco di incenso, frutta e resine. Aveva circa 45 anni ed era accompagnato da circa venti servitori, quaranta soldati e quattro saggi ognuno con due servitori.

In questi tre paesi veniva praticata con grande attenzione l’arte di scrutare le stelle, in particolare nella Media. Erano state costruite torri alte di legno, appunto per osservare le stelle. I principi tenevano ad avere presso di sé dei sapienti esperti nell’osservazione delle stelle, i magi. I giudei che vivevano nei loro paesi avevano portato la conoscenza del vero Dio e del Salvatore promesso, in particolare anche la profezia di Balaam: «Sorgerà una stella da Giacobbe» (Nm 24,17).

In Nubia la stella era stata vista già tre settimane prima della nascita del Salvatore da due magi, che erano poi andati dal re e gli avevano raccontato di aver visto in cielo una stella speciale: essa era di grandezza straordinaria ed emanava una luce particolarmente forte; aveva inoltre una coda speciale, lunga e piegata verso la fine. Il re aveva quindi riunito i sapienti del suo regno, i quali non avevano saputo come spiegarsi il fatto, per cui il re aveva inviato messaggeri al suo amico, il re Melchiorre d’Arabia, nella fiducia che lui ne sapesse di più.

In Arabia e in Media la stella era visibile come in Nubia, però in quei giorni nessun astronomo era salito sulla torre. Soltanto in Arabia uno era stato lassù, aveva visto la strana stella e aveva detto che era necessario studiarla a fondo. Però i magi non erano tutti presenti, così la cosa era stata tralasciata; anche il re non se ne era occupato oltre. Ora però salì lui stesso sulla torre e poi inviò messaggeri in Media per sapere se anche li fosse stata vista quella stella così particolare.

In Media il re era salito personalmente sulla torre nei giorni della nascita del Salvatore e aveva scoperto la stella; aveva allora chiamato a consiglio i suoi sapienti, che però non avevano saputo dirgli nulla di preciso. Quando però tornarono i messaggeri dall’Arabia e riferirono ciò che avevano saputo, il re capì e ordinò di predisporre subito il viaggio per l’Arabia per discutere la cosa. Mentre i messaggeri arabi erano in viaggio per la Media, il re di Nubia cavalcò verso l’Arabia e proseguì poi col re di questo paese per la Media, dove giunsero mentre il re del paese stava facendo i preparativi per il viaggio in Arabia.

Partirono quindi tutti e tre dalla Media seguendo la stella, che spesso non era visibile per giorni e settimane (a causa delle nubi) e quindi il viaggio fu ritardato. I re erano monoteisti, conoscevano la profezia di Balaam e credevano di avere ora davanti a sé la stella che egli aveva preannunciato. La visione dell’arrivo dei re magi avvenne il 6 gennaio 1929: verso mezzogiorno. Teresa vide i tre saggi principi, con un seguito di circa trecento persone (sapienti, servitori, soldati e anche donne) arrivare a Gerusalemme. Erano un negro dalla Nubia, uno di pelle scura dall’Arabia, un giallo dalla Media.

Una cometa li guidava. Dopo una prima indagine presso Erode al quale chiesero dove fosse il re neonato, i re si mossero verso una Betlemme in direzione nord. Soltanto dopo una seconda indagine si mossero verso la Betlemme giusta. La stella però li condusse ben oltre Betlemme, verso una stalla in muratura dove la sacra famiglia, che stava allora fuggendo verso l’Egitto, viveva già da qualche tempo. Da principio i re sono delusi dalla semplicità e povertà che trovano e credono di essersi sbagliati. Tuttavia bussano alla porta. Giuseppe apre con circospezione. Soltanto il re di Arabia sa parlare una lingua che Giuseppe può capire. Egli si presenta e chiede di parlare con la madre.

Poi vede Gesù bambino, che ha ora quasi due anni, con uno «sguardo divino»: e subito i re riconoscono in quel bimbo la meta delle loro ricerche, si gettano al suolo e con la fronte a terra adorano il piccolo. Teresa Neumann sente le catene che portano al collo tintinnare toccando la terra… Poi i re presentano i loro doni. Pregano la madre di conceder loro di tenere fra le braccia il bambino, e vengono accontentati. Teresa li invidia molto, perché possono tenere fra le braccia il bambino.

Viene però ricompensata perché quando il bambino ha preso congedo dai re guarda lei con affetto, corre verso di lei con le manine tese e lei può tenerlo fra le braccia. Lo sente caldo e grassottello, ed è felicissima. Teresa visse questa esperienza per la prima volta nel 1931, e poi da allora tutti gli anni il 6 gennaio.

Gesù bambino a Nazaret
Teresa vede Gesù che è ormai un ragazzino di qualche anno. Giuseppe va al lavoro. Gesù vuole andare con lui, ma sua madre non glielo permette. Quando la sera Giuseppe torna a casa, Gesù gli corre incontro affettuosamente. Dopo il ritorno dall’Egitto, la sacra famiglia aveva avuto in dono un certo numero di pecore, e il bambino Gesù doveva custodirle. La mamma gli dava la colazione da portare con sé mentre era al pascolo.

Una volta andò da lui un uomo molto malato, lebbroso. Gesù bambino, compassionevole, divide con lui il suo pasto. Poi sfiora il viso dell’uomo.
L’uomo va via; strada facendo si guarda e si accorge che la sua lebbra è sparita. Quest’uomo in seguito arrivò ad avere una posizione importante. Era presente alla riunione quando Gesù fu condannato a morte. Come alcuni altri, non fu d’accordo col giudizio di morte. Gesù bambino giocava volentieri con gli altri bambini di Nazaret.

Il battesimo di Gesù
Questa visione avvenne il 13 gennaio del 1952 (o 1953) ed è stata descritta da Johannes Steiner. Le circostanze sono le seguenti: insieme a padre Naber, Teresa e un nipote quindicenne di lei, Steiner era stato a vedere il film Bernadette tratto dal romanzo di Franz Werfel. Sulla via del ritorno a casa, mentre discutevano del film e dei buoni effetti che poteva avere sulla gente, Teresa all’improvviso tacque: il nipote (Teresa era la madrina di battesimo del ragazzo), che sedeva con lei sul sedile posteriore, disse: «La madrina ha una visione ». Steiner fermò la macchina dove gli fu possibile e accese le luci di posizione. Tutti si misero a osservare i gesti e l’espressione estatica del suo viso, che esprimeva gioia, attenzione, stupore, paura. Era una serata molto fredda, con circa 10 gradi sotto zero, e in una macchina ferma ci si raffredda facilmente. Teresa invece, osserva Steiner, si levò lo scialle e si aveva l’impressione che sudasse. Il pastore Naber fece osservare che il Vangelo del giorno prevedeva il battesimo di Gesù (Gv 1,29-34), e che probabilmente questo era appunto l’oggetto della visione di Teresa.

Quando, finita la visione, Teresa entrò nello stato di quiete, riprese subito lo scialle e se lo avvolse sulle spalle; poi disse, come al solito, in dialetto: «Che freddo fa qui, e proprio ora il sole scottava così forte sulle spalle!». Il parroco le chiese allora dove fosse stata, e lei rispose: «Su un fiume, non grande però e non con l’acqua ferma (si riferiva al lago di Genazareth), ma con l’acqua corrente, quello dove sono passati i tre uomini con tutta la loro gente e gli animali (si riferisce ai tre re magi, di cui aveva avuto la visione il 6 gennaio; il fiume era il Giordano, che bisogna attraversare per andare a Gerusalemme). Qui c’è quello vestito di pelle di animale (intende Giovanni il Battista) e ora arriva il Salvatore. Parlano insieme…». Teresa raccontò anche che Giovanni aveva salutato il Salvatore inchinandosi e da principio non voleva che entrasse nell’acqua.

Dopo però aveva parlato con Gesù e gli aveva versato l’acqua sul capo.
E appena il Salvatore era uscito dall’acqua, all’improvviso un uccello bianco fatto di luce vivente era apparso su di lui e si era sentita una voce forte che parlava dal cielo, sembrava una voce di tuono. «Io mi sono spaventata», disse Teresa. Aveva aggiunto però: «Com’era bello l’uccello di luce!». Dopo la visione e lo stato di quiete, Teresa in genere aveva un breve sonno, di cui i suoi compagni approfittarono per rimettere in moto l’automobile e proseguire il viaggio fino a casa.

Le nozze di Cana
Per comprendere a fondo questo episodio, è bene sapere quanto il professor Wutz, docente di esegesi veterotestamentana, fece a suo tempo notare: al tempo di Gesù, era abitudine festeggiare i matrimoni per otto giorni di seguito; era quindi consuetudine che gli ospiti portassero con sé un certo quantitativo di cibo e bevande.

Dato che questo evidentemente non era avvenuto, Maria si sentì a disagio quando il vino cominciò a scarseggiare. Teresa ebbe questa visione nel 1931; era presente padre Naber, che ne fece una descrizione. Alle otto di sera Teresa era nella stanza di soggiorno della casa paterna, circondata da una ventina di parenti e amici. Era seduta a un tavolo sul quale alcuni stavano giocando a dadi, quando improvvisamente fu trasportata lontano e assistette alle nozze di Cana.

Nel successivo stato di quiete raccontò quanto aveva visto, disse cioè cosa aveva fatto il Salvatore, in che modo avesse tagliato l’agnello arrosto che gli avevano portato, come si fosse mosso tra gli ospiti intrattenendosi con loro, come Maria avesse aiutato a servire gli ospiti. Aveva aggiunto che, se avesse potuto, sarebbe stata felice di aiutare Maria.
La visione si ripeté regolarmente negli anni successivi; in base alle varie descrizioni che ci sono pervenute, i fatti si svolgevano in questo modo: Teresa si trova in una grande sala, con molta gente; c’è una festa. Sono stati predisposti parecchi lunghi tavoli, uomini e donne siedono separati, fra di loro è stesa una tenda. Così è l’uso.

Però si può vedere al di sopra della tenda, che è bassa. Tra gli ospiti Teresa vede il Salvatore, sua madre e alcuni degli uomini che stanno col Salvatore, non tutti; il giovane Giovanni è presente. Evidentemente sono imparentati con i padroni di casa, o almeno molto amici, perché la madre di Gesù aiuta a servire gli ospiti.
Hanno mangiato e bevuto e il Salvatore ha parlato. Il giorno successivo la madre va dal Salvatore e gli dice qualcosa. Il Salvatore risponde meravigliato, ma cordiale.

Teresa non ha capito cosa si dicano. Dopo questo colloquio la madre esce e va in un ampio corridoio dove sono « grandi pentoloni » (orci). Essi hanno una bella forma, sembrano grandi vasi, hanno le pareti spesse, sembrano di pietra, e sono collocati su supporti fatti in modo tale che si possono piegare per versare il contenuto. «Altrimenti sarebbero stati difficili da sollevare, perché erano molto grossi».
Teresa non sapeva quanti fossero esattamente, disse però che ce n’era una fila intera. Accanto ai recipienti ci sono alcuni servi, ai quali Maria dice qualcosa (secondo il Vangelo, ella dice loro di fare ciò che Gesù avrebbe detto loro).

Qualche tempo dopo entra il Salvatore e parla agli uomini.
Essi riempiono i recipienti. Quando sono pieni, il Salvatore si avvicina, stende le mani su di essi, guarda verso il cielo e dice qualcosa. Poi parla ancora ai servitori. Loro attingono dai recipienti; uno di loro, che sembra essere il capo, assaggia. Non sapendo cosa fosse accaduto, si irrita e va dal padrone; sono poi i servitori a raccontare.
Il padrone e anche Maria sono molto contenti. Tutto si è svolto molto in fretta.
Teresa aggiunse che questo era niente per il Salvatore, che si era limitato a fare in modo che l’acqua che era stata messa nei recipienti avesse un sapore migliore.

La tempesta
Questa visione fu trascritta dal dottor Mayr il 31 Gennaio 1954. Dopo cena erano nella cucina del parroco; Teresa era presente e discuteva animatamente con gli amici.
All’improvviso fu rapita in una visione. Dapprima il suo sguardo era molto tranquillo, poi all’improvviso si illuminò e Teresa cominciò a sorridere: evidentemente vedeva il Salvatore. In seguito espresse sorpresa, paura, attenzione, gioia.

Alle domande che le furono fatte nello stato di quiete, raccontò di aver visto i discepoli e il Salvatore salire su un’imbarcazione; non c’erano tutti i discepoli e non c’era nessuna persona estranea. Parecchie altre imbarcazioni erano in movimento nella stessa direzione. C’era vento ed era già tardi. Si vedevano le stelle. Il Salvatore si sistemò nella parte posteriore dell’imbarcazione per dormire. Poco dopo, la tempesta si fece molto forte, con «montagne d’acqua» che minacciavano di inghiottire la barca.

I discepoli avevano paura, però per un pezzo non osarono svegliare il Salvatore. Sollecitarono il «giovane» (Giovanni) perché lo facesse lui. Costui sembrava avere meno paura degli altri e molta più fiducia. Egli rifiutò di svegliare il Salvatore.
Allora lo fece Pietro. Dovette scuotere forte il Salvatore prima che si svegliasse per bene. Il Salvatore parlò poi ai discepoli, evidentemente rimproverando loro di essere dei codardi. Poi si mise in piedi sulla barca che ondeggiava molto violentemente, stese le braccia sull’acqua e subito il vento e le acque si placarono.

I discepoli guardarono il Salvatore con sguardo stupito e spaventato.
Questo gesto del Salvatore fece a Resì una profonda impressione.
Era infatti molto eccitata, orgogliosa e piena di gioia di questa dimostrazione di potere del Salvatore.

Resurrezione
Per capire questa visione è necessario premettere alcune cose, che conosciamo dai Vangeli: in occasione della festa al Tempio Gesù si era recato a Gerusalemme; e qui i giudei gli avevano chiesto se fosse il Messia, al che egli aveva risposto affermativamente: «Io e il Padre siamo una cosa sola…». Per questo i giudei volevano lapidarlo come bestemmiatore, ma «lui sfuggi alle loro mani».

Evitò Gerusalemme e si recò sulla riva orientale del Giordano, verso nord (Gv 10,22-42). Forse si diresse verso la casa dei suoi amici a Betania, dove lo trovarono i messaggeri di cui si parlerà tra breve. Nella prima visione Teresa vede il Salvatore e gli apostoli nelle vicinanze della zona dove era stato battezzato da Giovanni. Vengono degli uomini che riferiscono qualcosa al Salvatore (sono i messaggeri di Marta e Maria di Betania, che gli dicono della malattia di Lazzaro). Il Salvatore li rimanda via.

Nella seconda visione, che segue immediatamente la prima, Teresa vede il Salvatore nella stessa regione: evidentemente sta dando un incarico agli apostoli.
Essi lo contraddicono, Pietro addirittura batte per terra con i piedi. Tuttavia quando finiscono di parlare seguono il Salvatore. (Evidentemente gli apostoli temono che Gesù venga trovato e lapidato. Gesù però li informa della malattia mortale di Lazzaro ed essi lo seguono). Nella terza visione il Salvatore e i suoi accompagnatori arrivano a Betania. Marta gli viene incontro e parla a lungo con lui. Egli la consola. Lei torna verso casa e ritorna con sua sorella Maria e molta altra gente.

Maria si getta ai piedi del Salvatore e gli parla piangendo: «Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto». Allora anche il Salvatore piange – e Teresa anche – e si fa condurre al sepolcro. Qui giunto indica una pietra posta sulla tomba; questa era in una cavità del terreno; la pietra era posta quasi orizzontalmente, e una serie di scalini conduceva verso il basso. Il Salvatore vuole evidentemente che tolgano la pietra, ma Marta vorrebbe impedirlo (Lazzaro è sepolto già da quattro giorni).
Il Salvatore le parla con severità, dopodiché la pietra viene levata. Dal sepolcro sembra uscire un nauseante odore di putrefazione, perché Teresa, che nella visione si trova accanto al sepolcro, si tappa il naso. Il Salvatore guarda verso il cielo e poi parla a voce molto alta rivolto al sepolcro: «Laasaar alla», cioè: « Lazzaro, torna in te! ».

Allora il morto appare davanti alla porta del sepolcro: è uno spettacolo pauroso, perché Lazzaro si alza dalla tomba con mani e piedi fasciati e il volto coperto.
Tutti sono muti e fissano l’apparizione. Subito però il Salvatore lo libera dalle bende con una parola, e Lazzaro viene avvolto in un mantello e condotto in casa.

I presenti non riescono quasi a capire cosa è avvenuto e non osano gioirne, finché si rendono conto che Lazzaro è di nuovo vivo e scoppiano in lacrime di felicità.
Anche Resì piange alla fine della visione, ma questa volta le sue lacrime sono di gioia.

Le visioni di Pasqua
Le visioni della passione sono già state dettagliatamente riferite nella prima parte di questo libro. Vediamo ora invece le visioni gioiose della risurrezione, che Teresa aveva ogni anno a Pasqua. La risurrezione La visione inizia la domenica di Pasqua alle cinque del mattino. Teresa, che praticamente dorme dal venerdì santo (dopo aver rivissuto con particolare intensità la passione di Cristo), si sveglia all’improvviso.

Nella visione si trova davanti al sepolcro di Gesù a Gerusalemme, davanti al quale stanno di guardia i soldati romani, piuttosto stanchi e insonnoliti. E’ una mattinata radiosa, il sole sta per sorgere. Teresa ha un attimo di spavento, guarda verso l’alto e poi appare radiosa di gioia. E’ successo questo: la terra ha tremato e il Salvatore è apparso col corpo trasfigurato fuori della parete rocciosa; la pietra davanti alla tomba è caduta, toccata da un «uomo luminoso» (un angelo); un secondo uomo luminoso è nella tomba stessa, un altro ancora è seduto sulla pietra tombale. Le guardie cadono a terra, soltanto una riesce a sostenersi alla sua lancia: è quella che ha ferito Gesù al costato.

Teresa Neumann vede il Salvatore librarsi nell’aria e raggiungere il luogo della crocifissione.
Lì sua madre, seguendo un intuizione interiore, è andata di primo mattino.
Teresa segue il Salvatore e assiste all’incontro con la madre, che mentre si trova immersa nel suo grande dolore scorge all’improvviso il Salvatore trasfigurato. Egli dice alcune parole a sua madre, che lo guarda con immenso stupore e con gioia, e poi sparisce.

Rispondendo alle domande di padre Naber, Teresa precisò che tutto era avvenuto contemporaneamente: terremoto, apparizione del Salvatore che esce dalla parete rocciosa, spostamento della pietra. Teresa precisò anche che il Salvatore emanava una grandissima luminosità, sembrava fatto di luce vivente e tuttavia era di carne; in particolare rilucevano le sue ferite. Anche la veste era fatta di luce; attraverso la veste si vedeva risplendere anche la ferita al cuore. «Com’era tutto bello e potente! L’uomo luminoso ha spostato la pietra come se fosse stata di carta!».

Le pie donne alla tomba vuota La seconda visione di Pasqua si svolgeva in questo modo: Teresa si trova di nuovo davanti alla tomba; le guardie sono ancora distese per terra, quella che è rimasta in piedi è come impietrita.
Arrivano la «ragazza» (così Teresa chiamava la Maddalena) e altre tre donne, tutte si spaventano di quello che si offre al loro sguardo: gli uomini per terra e la tomba aperta. Teresa nota anche che l’uomo luminoso che stava seduto sulla pietra non c’è più.
Le donne non osano avvicinarsi; poi Maddalena e un’altra (una «alta», dice Resl) si fanno coraggio, si accostano alla tomba e guardano dentro.

Maddalena fa un paio di passi nel sepolcro, non vede il Salvatore, vede invece un uomo luminoso che le dice alcune parole. Lei corre fuori tutta eccitata, chiama le altre donne, le fa entrare perché vedano anche loro, poi esce e si mette a correre più forte che può per raggiungere la casa dove si sono rinserrati  gli uomini del Salvatore».
Teresa nella visione segue la Maddalena. Giunta alla casa, Maddalena deve battere più volte alla porta e chiamare; finalmente le apre Giovanni, poi viene anche Pietro.

Lei racconta loro quello che ha visto, ma loro non le credono.
Allora Pietro e Giovanni escono e si avviano anche loro di corsa verso il sepolcro.
Pietro e Giovanni al sepolcro Questa è la terza visione di Pasqua. Teresa è ancora una volta davanti alla tomba. L’uomo che ha colpito il Salvatore al costato e poi ha aiutato a portare il suo cadavere nel sepolcro entra nella tomba.

Non vede l’uomo luminoso, si stupisce grandemente che la tomba sia vuota, tocca le bende abbandonate, poi esce e fa entrare le donne. Loro vedono due uomini luminosi accanto al luogo in cui il Salvatore era stato disteso. Gli angeli parlano loro brevemente e le donne, evidentemente spaventate, si affrettano ad uscire. Poco dopo arriva Giovanni, che è più veloce di Pietro. Le guardie sono ancora distese a terra come morte, l’altro soldato non si vede. Giovanni guarda dentro la tomba vuota senza entrarvi.

Quando arriva Pietro, gli appare brevemente il Salvatore, senza parlare, e lo fissa in volto. Poi Pietro raggiunge Giovanni e insieme entrano nella tomba. Pietro tocca i teli e si convince che sono vuoti: essi non sono gettati per terra uno sull’altro, ma sistemati come se chi vi era stato avvolto fosse scivolato via senza spostarli. Soltanto il telo nel quale era avvolta la testa è da una parte, per conto suo. Pietro raccoglie i teli e li nasconde sotto il suo mantello. Gli uomini luminosi non si vedono.

Pietro racconta a Giovanni dell’apparizione del Salvatore, e Giovanni esce nel giardino e si guarda attorno con attenzione per vedere se il Salvatore c’è ancora. Poi i due si affrettano a tornare dagli altri apostoli: non passano però per la porta grande della città, ma per quella piccola. Si presume che in seguito se ne vadano anche le guardie, perché nelle visioni successive Teresa non le vede più.
Gesù appare alla Maddalena e alle donne Quarta visione. Maddalena, dopo aver avvisato altre persone (e forse anche la madre di Gesù), torna indietro, piange e guarda ancora una volta dentro al sepolcro. Qui vede di nuovo i due uomini luminosi, e uno le parla. Lei esce molto triste e piange nuovamente.

Intanto si guarda intorno e cerca: e nella luce del sole vede un uomo dalla veste chiara venirle incontro. Maddalena non lo conosce (neppure Teresa lo riconosce), gli fa delle domande, poi si copre il viso piangendo e quando toglie le mani si trova davanti il Salvatore, bello e radioso come è uscito dal sepolcro. Il Salvatore chiama la Maddalena e lei cade in ginocchio esclamando «Rabboni!». Maddalena vuole avvicinarsi al Salvatore, ma lui alza le mani facendole capire di non farlo, poi guarda verso il cielo e le dice alcune buone parole.

Teresa sente la parola «Abba», e subito dopo il Salvatore sparisce. Maddalena torna dalle altre donne, che sono ancora nel giardino che è intorno al sepolcro, guarda ancora una volta dentro alla tomba e poi corre via verso la città. Quinta visione. Ora le altre donne cercano in giardino. All’improvviso il Salvatore è davanti a loro, non posa i piedi per terra, ma è più in alto, come librato nell’aria. Le donne cadono a terra e vogliono abbracciargli i piedi, ma il Salvatore le trattiene con un gesto della mano. Poi dice qualcosa di buono alle donne e sparisce. Teresa non si stanca di ripetere quanto fosse bello e luminoso il Salvatore; le ferite sono guarite, di loro resta soltanto un segno lucente. Anche a lei in quel giorno le stigmate non fanno male: questa situazione in genere continuava per tutta la settimana di Pasqua. Queste cinque visioni erano quelle della mattina di Pasqua. Verso mezzogiorno Teresa Neumann si vedeva in genere trasportata a Roma, dove assisteva alla benedizione «urbi et orbi» del Papa.

Nei giorni successivi alla Pasqua Teresa aveva altre visioni di Gesù risorto: l’apparizione agli apostoli, a Tommaso, sul lago Tiberiade e sui monti di Galilea.
In questa sede dobbiamo tuttavia limitarci alla descrizione di una particolare apparizione, di cui i vangeli non parlano e che è quindi sorprendente e molto commovente.

Gesù appare alla madre e a Giovanni Questa visione avveniva in genere durante la settimana di Pasqua. Gesù vede sua madre e Giovanni percorrere la via per Gerusalemme, quella che aveva dovuto fare con la croce. I due camminano tristemente, ricordando quanto era successo commentano fra di loro i tristi avvenimenti e in un certo senso fanno la prima Via Crucis. Baciano anche il suolo nei punti in cui Gesù è caduto. Ed ecco che improvvisamente appare loro il Salvatore, in tutto lo splendore della risurrezione: li guarda con amore e parla loro. Sul viso di Maria e di Giovanni si riflette una grandissima gioia; gioia che (a giudizio di tutti i testimoni) traspariva anche dal volto della veggente.

Gesù sale cielo
Questa visione commuoveva sempre profondamente Teresa, che appena entrava nello stato di quiete cominciava a raccontare che il momento più bello era stato quando Gesù aveva preso congedo da sua madre: era stata lei l’ultima persona con cui aveva parlato. Le visioni erano più d’una, separate come sempre da momenti di quiete in cui Teresa raccontava quello che aveva visto.

Prima visione.
Sono le quattro del mattino, gli apostoli e la madre di Gesù si trovano nella grande casa dove era stata tenuta la cena. Anche altn uomini e donne sono presenti in casa, ma in altre stanze. E’ il momento della colazione, sono accese le lampade. Le porte sono chiuse, ma all’improvviso il Salvatore appare in mezzo a loro. Tutti in un primo momento si spaventano, poi parlano, gli offrono qualcosa da mangiare, e lui ne prende un poco. Poi parla a lungo con loro.

Seconda visione.
Teresa vede il Salvatore uscire dalla casa insieme a tutti gli altri; si sono aggiunte anche altre persone. Arrivano a un ruscello, poi vanno in direzione della casa di Lazzaro (quindi verso Betania). Non arrivano però alla casa. Dopo un poco infatti voltano a sinistra, salendo su un monte. Il Salvatore indossa una veste bianca radiosa. Tutti sono scalzi. Anche il Salvatore cammina, non è librato in aria, e camminando parla con tutti.

Terza visione.
Giunti in cima al monte il Salvatore parla ancora una volta a tutti; poi parla agli apostoli e infine a sua madre, alla quale rivolge uno sguardo particolarmente amoroso. Poi solleva le mani verso l’alto, si alza da terra e si libra in direzione di oriente. Teresa aggiunse che in quel momento il sole sorgeva dietro alle sue spalle, era uno spettacolo meraviglioso, gli abiti scintillavano come neve al sole. Alzandosi da terra il Salvatore aveva guardato con amore anche Teresa, la quale raccontava queste cose piangendo di commozione. All’improvviso erano apparsi due uomini luminosi, che avevano detto a tutti parole liete; poi erano spariti. Tra le persone presenti, Teresa citava (oltre alla madre di Gesù, agli apostoli e alla Maddalena) anche una serie di persone che aveva già visto in altre visioni: la moglie di Pilato («quella che voleva aiutare il Salvatore»), la guardia che aveva ferito Gesù al costato, Lazzaro. Soprattutto Teresa non si stancava di ripetere quanto fosse bello il Salvatore mentre si alzava verso il cielo col sole sorgente alle spalle.

La Madre di Gesù dopo l’ascensione del Redentore
Teresa Neumann ebbe molte visioni relative alla madre di Gesù dopo che questi era salito al cielo. Ella dunque trascorse alcuni anni a Gerusalemme con Giovanni, che operava in questa città e negli immediati dintorni. Poi entrambi si trasferirono ad Efeso. Dopo alcuni anni, durante i quali si cominciò a diffondere la Chiesa primitiva, ricevettero in dono una bella casa poco distante dalla città, a sud, dove vissero a lungo.

Maria un giorno seppe per rivelazione che non le restava più molto da vivere, ed espresse a Giovanni il desiderio di tornare a Gerusalemme per visitare ancora una volta i luoghi dove Gesù era vissuto ed era morto. Giovanni fu subito d’accordo e i due si misero in viaggio. A Gerusalemme incontrarono gli altri apostoli, che vi erano convenuti proprio in quei giorni. A giudizio del pastore Naber (Teresa evidentemente non ebbe rivelazioni su questo punto), essi erano venuti a Gerusalemme per il concilio degli apostoli (avvenuto verso il 50 d.C.); oppure il Salvatore nella sua bontà aveva voluto dare agli apostoli ancora una volta la possibilità di incontrare la madre per assistere alla sua morte e agli eventi straordinari che poi avvennero.

La morte di Maria
Nella prima visione relativa a questo evento Teresa vede Maria e gli apostoli riuniti in una sala: è la stessa sala che ha già visto in altre visioni, quella adiacente alla grande sala dell’ultima cena, nella quale quella sera stavano le donne.
Tutti sono molto invecchiati, ma Teresa non fatica a riconoscerli uno per uno. Manca Giacomo (fatto decapitare da Erode anni prima) e manca anche Tommaso.

C’è invece Paolo, che Teresa conosce per averlo visto in altre visioni, e un altro uomo che gli apostoli trattano come un loro pari ma che Teresa non riconosce. Il pastore Naber ritiene che potrebbe essersi trattato di San Barnaba.
Gli apostoli sono tutti intorno a Maria, riposano e fanno piccoli lavori. Più lontano Teresa vede riunite anche persone, uomini e donne, che non conosce. Mentre parlano tutti insieme di Gesù, Maria viene colta da un desiderio ardente di lui, dalla nostalgia di vederlo. All’improvviso si sente stanca, diviene pallida e si accascia.

Giovanni la sostiene e lei muore tra le sue braccia, il capo reclinato sul petto di quello che considerava il suo secondo figlio. Appena Maria è spirata, Teresa vede la sua anima uscire dal corpo come figura luminosa incorporea; appare anche il Salvatore sorridente, che accoglie l’anima di sua madre; poi scompaiono insieme. Gli apostoli restano tristemente accanto al corpo senza vita di Maria; Giovanni le chiude gli occhi e la bacia sulla fronte, sulla guancia destra e sulla bocca, cosa che fanno anche gli apostoli.
Tutti piangono, Teresa ha le lacrime che le scorrono sulle guance.

Sepoltura: Il corpo di Maria viene preparato per la sepoltura dalle donne: viene cosparso di unguenti aromatici e avvolto in lini. Teresa avverte il profumo degli aromi. Pietro e un altro apostolo vanno nella valle del fiume Cedron a cercare una tomba in cui deporre il corpo di Maria. Viene scelta una tomba contro una collina, simile alla tomba di Lazzaro. Per entrare nel sepolcro bisogna scendere alcuni scalini; non c’è vestibolo.
Maria viene posta nella tomba lo stesso giorno della morte, un sabato; la morte era avvenuta la mattina di buon’ora, la sepoltura la sera.

Assunzione di Maria
Teresa viene trasportata nella visione davanti alla tomba di Maria.
E’ domenica mattina presto, intorno non c’è nessuno. All’improvviso appare in alto una luce: due angeli scendono dal cielo con l’anima di Maria.

Teresa riconosce l’angelo che aveva dato l’annuncio a Maria (l’arcangelo Gabriele), l’altro non lo conosce: nello stato di quiete disse però che si trattava dell’angelo custode di Maria. Le tre figure luminose entrano nel sepolcro senza che la porta chiusa impedisca loro il passaggio. Subito dopo riappaiono, ma Maria non è più una figura luminosa trasparente, bensì un corpo vivente trasfigurato, luminoso, rivestito di una veste di luce. Teresa dice di non riuscire a descrivere bene ciò che vede, l’immagine più vicina è quella della neve al sole, però non è abbastanza aderente alla realtà.

Teresa dimostra una grande felicità, è radiosa. Gli angeli sostengono Maria, la mano sotto il suo braccio, e la conducono verso l’alto. Lo sguardo di Teresa segue le figure che salgono in cielo, poi sul suo viso appare una gioia sconfinata: le è apparso il Redentore in tutto il suo splendore, con la corte celeste di angeli e santi. C’è anche Giuseppe, incorporeo ma riconoscibile.

Il Redentore e Giuseppe prendono il posto degli angeli a fianco di Maria; Teresa sente musiche ineffabili mentre Maria, regina del cielo e della terra, ascende col Salvatore.
I testimoni di queste visioni hanno affermato che Teresa in uno slancio d’amore esclamava: «Con te, con te!»; tendeva le braccia verso le figure che salivano in cielo e si alzava sulle punte dei piedi. Parecchi testimoni attendibili hanno affermato che in più occasioni Teresa si alzò effettivamente dal suolo di alcune decine di centimetri.

Gli apostoli alla tomba vuota
Tommaso, che era assente quando Maria era spirata, arriva intanto a Gerusalemme; è lunedì. È addolorato di essere arrivato così tardi e vuole vedere Maria per l’ultima volta almeno nella tomba. Si mette quindi d’accordo con gli apostoli per andare insieme a loro alla tomba della madre di Gesù. Teresa li vede giungere alla tomba e controllare i sigilli intatti (è martedì mattina presto). Tolgono i sigilli, aprono la tomba e poi si guardano con immenso stupore: il corpo è sparito. Al posto dove hanno deposto Maria, sono rimaste soltanto le bende, che hanno conservato la forma di un corpo.

Le bende infatti erano impregnate di unguenti e sono quindi molto rigide e sostenute.
Gli apostoli notano che nella tomba aleggia un profumo non terreno, che anche Teresa mostra di sentire. Dopo qualche tempo gli apostoli lasciano lietamente la tomba, convinti che Maria sia stata assunta in cielo. Nei limiti di questo testo non è naturalmente possibile riferire tutte le altre visioni di Teresa Neumann: basti dire che alla loro descrizione il dottor Johannes Steiner ha dedicato due volumi di trecento pagine ognuno.

Noi ci siamo necessariamente limitati a riportare in parte il nucleo centrale delle visioni, quelle relative alla vita e alla morte di Gesù, alla sua risurrezione e assunzione in cielo, alla morte e assunzione di Maria. Teresa Neumann tuttavia ebbe visioni relative anche ai personaggi che ruotarono intorno a Gesù: Anna, Elisabetta, Giovanni Battista, gli apostoli, Lazzaro, Maria Maddalena, Marta, Paolo, Stefano e altri ancora. Ebbe inoltre visioni che si riferiscono a santi vissuti dopo Cristo: Agnese, Aloisio, Antonio di Padova, Barbara, Bernadette Soubirous, Francesco d’Assisi, Francesco di Sales, Sebastiano, Teresa d’Avila, Teresa di Lisieux. Ebbe inoltre visioni relative al mondo angelico.

Il significato delle visioni
La vita di Teresa Neumann e i segni straordinari di cui ella fu oggetto per tanti anni hanno avuto e hanno un profondo significato.
Il grande amore di Teresa per il Salvatore, il suo rivivere settimanalmente la sua passione e morte, le visioni di Gesù risorto e trasfigurato hanno certamente contribuito a far rivivere e crescere in tutti coloro che l’hanno avvicinata, sia laici che ecclesiastici, la fede in Gesù Cristo buon pastore e signore dell’universo. Lo dimostrano le tantissime testimonianze che vengono vagliate in vista del processo di beatificazione.

I molti carismi di Teresa, le stigmate e il digiuno durato trentasei anni sono segni della potenza del Salvatore, che ancora una volta dà testimonianza di sé in Teresa, sua devota e messaggera. Il digiuno in particolare testimonia del valore del sacramento dell’amore, l’eucaristia, che è in grado di sostenere la vita umana senza bisogno di alcun sostentamento terreno. Infine le sofferenze cristianamente sopportate e accettate da Teresa devono indurre a riflettere sul significato e la necessità del dolore nel piano di salvezza di Dio. Tale il messaggio di Konnersreuth.

Quanto al significato delle tantissime visioni che Teresa ebbe per tutta la vita e di cui abbiamo riportato qui il nucleo centrale a titolo di esempio, ci sembra giusto inquadrarle e definirle con le parole del dottor Carl Stràter, già più volte citato. Egli scrive infatti: «Dato che Dio nella sua eternità vede contemporaneamente tutto ciò che avviene, non deve essere considerato impossibile che egli faccia partecipare qualcuno in modo particolare di questa divina conoscenza, e per esempio faccia vedere a questa persona la passione di Cristo nella sua attualità (e non soltanto per immagini).

Io ritengo le visioni di Teresa Neumann essenzialmente soprannaturali e ritengo quindi che non sia possibile dimostrare in termini positivi la possibilità di tali visioni; basti ricordare che non è però neppure possibile dimostrarne l’impossibilità. Dato che Teresa, quando cominciò ad avere le visioni, aveva già dentro di sé pensieri, impressioni e immagini, è possibile che questi elementi soggettivi abbiano avuto un ruolo nelle visioni stesse. E’ molto difficile separare nettamente gli elementi soggettivi da quelli oggettivi, e non è neppure necessario farlo.

Tali grazie non vengono certo date per promuovere la ricerca scientifica. Ci si può chiedere se in questo modo si può spiegare il fatto che certe visioni lasciano un’impressione di maggior oggettività di altre. Si potrebbe forse rispondere così: dove l’influenza divina è stata più forte, gli elementi soggettivi tendono a scomparire. E l’influsso divino era più forte che mai quando la Resl veniva immessa nel mistero centrale della redenzione della passione del Signore».