David Bohm: tra scienza e spirito

Chi è David Bohm? È certamente uno dei fisici quantistici più geniali e meno ortodossi. Non si interessa solo di fisica, ma anche di filosofia, psicologia e spiritualità. Per la fisica cerca una dimensione unica, un’unica teoria che metta insieme in una sola legge tutte le scoperte fatte dai fisici, come d’altronde aveva tentato di fare anche Einstein.

Nasce nel 1917 in Pennsylvania (U.S.A.) da famiglia ebrea. Si laurea in fisica nel 1939.
Gli è maestro il grande fisico Robert Oppenheimer col quale a Berkeley (Università della California) ottiene il dottorato in fisica teorica. Dopo la guerra lavora con Einstein all’Università di Princeton. La sua ricerca, in un primo momento, riguarda i plasmi e la fisica quantistica.

Nei riguardi degli altri fisici quantistici, precisamente i fisici classici, il suo atteggiamento è critico. Egli critica soprattutto la loro posizione di chiusura assolutistica nei confronti del determinismo scientifico.
Infatti, per il principio di indeterminazione di Heisenberg, per il quale è impossibile misurare con precisione sia la posizione che la velocità di una particella subatomica, non si può attribuire nessuna causa precisa nelle osservazioni del mondo atomico, e ci si deve, una volta per tutte, arrendere al caso, ad una forza imponderabile che può avere solo una minore o maggiore probabilità statistica di realizzazione.

Eppure, contesta Bohm, la scienza è in continuo divenire. Non si possono escludere possibili futuri sviluppi che superino il principio di indeterminazione e aprano la strada a connessioni causali che oggi la scienza non è in grado di cogliere.
Infatti, ogni legge scoperta contiene degli errori poiché rappresenta la natura come un insieme finito di concetti che non tengono conto di una moltitudine di altri fattori e di qualità e proprietà della materia che oggi non conosciamo.

“Il carattere essenziale della ricerca scientifica è che essa muove verso l’assoluto studiando il relativo nella sua molteplicità e diversità inesauribili”. In questo modo Bohm, pur continuando la sua ricerca, che accompagna comunque con una profonda speculazione filosofica, si pone al di là della scienza. In uno dei suoi testi più significativi: “Causalità e caso nella fisica moderna”, Bohm appunto contesta la posizione dei fisici quantistici, dando un’originale interpretazione di alcuni aspetti della meccanica quantistica.

Egli soprattutto non si arrende all’idea del “caso” che governerebbe il mondo atomico e subatomico, così come propugnato dalla meccanica quantistica. Cerca comunque di riproporre una causalità, malgrado il principio di indeterminazione di Heisenberg.
Facendo soprattutto riferimento al principio di “non località”, egli propone l’idea di un Universo come un tutt’uno, senza separazioni, dove ogni piccolo frammento è in connessione costante con il tutto, in sostanza un modello olografico dell’universo.

Nacque così la teoria che Bohm chiamò “teoria dell’ordine implicato” e che fu confermata da un esperimento noto come “paradosso EPR”, convalidato scientificamente nel 1982. In quest’esperimento, denominato EPR dalle iniziali dei suoi ideatori: Einstein, Podolsky e Rosen, si dimostra che particelle subatomiche anche molto lontane, comunicano tra loro informazioni in modo istantaneo, ad una velocità che è quindi superiore alla velocità della luce che, come è riconosciuto scientificamente, sarebbe un limite invalicabile (ecco perché fu chiamato paradosso).

Tutto ciò si spiegherebbe, secondo la teoria dell’ordine implicato di Bohm, col fatto che queste particelle sarebbero in continuo contatto, poiché in realtà non sono separate, bensì parti di una stessa entità unitaria. È come se in questa entità unitaria fosse presente un’intelligenza capace di “governare” le sue varie parti, appunto ogni piccola particella, in un modo che la scienza e la coscienza umana non sono ancora riuscite a comprendere.

Bohm pensa quindi all’universo “come a una struttura olistica e organica, praticamente simile a un corpo umano. In un tale contesto gli elettroni di un atomo di carbonio del cervello umano sono connessi alle particelle subatomiche che costituiscono ogni salmone che nuota, ogni cuore che batte, e ogni stella che brilla in cielo. Ogni cosa interpenetra ogni altra cosa, e sebbene la natura umana possa tentare di categorizzare, incasellare e suddividere i vari fenomeni dell’universo, tutte le ripartizioni in esso sono di necessità artificiali e tutto della natura è una rete infinita”. 

La teoria fisica proposta da Bohm fu considerata estranea all’ortodossia quantistica classica, e fu definita “Meccanica Bohmiana”, proprio per sottolinearne la specificità. Un concetto fondamentale della teoria bohmiana è “il potenziale quantico” che acquisisce energia da un campo definito “campo del punto zero” (quello che il premio Nobel per la Fisica Frank Wilczek chiama “La Griglia”) che sarebbe sottostante a tutta la creazione materiale.

Questo è quanto afferma lo stesso Bohm: “Lo spazio non è vuoto. È pieno, è un “plenum” in opposizione al vuoto assoluto, ed è il terreno che permette l’esistenza di ogni cosa, inclusi noi stessi. L’Universo non è separato da questo mare cosmico di energia, è un’increspatura sulla sua superficie, una specie di “area di eccitazione” nel mezzo di un oceano incomparabilmente vasto. Questa area di eccitazione è relativamente autonoma e dà luogo a proiezioni approssimativamente ricorrenti, stabili e separabili in un ordine di manifestazione tridimensionale”. 

Questo concetto trova eco in ciò che a sua volta scriverà Frank Wilczek: “Là dove i nostri occhi non vedono nulla, il nostro cervello, considerando le rivelazioni di esperimenti messi a punto con grande precisione, scopre la Griglia che alimenta la realtà fisica… ciò che percepiamo come spazio vuoto in realtà è un mezzo potente la cui attività modella il mondo”.
Come ci spiega l’astrofisico italiano Massimo Teodorani, per capire più a fondo la fisica bohmiana dobbiamo fare riferimento al concetto di “informazione”.

Tutto ciò che avviene e che possiamo percepire nel mondo è determinato non solo dai due elementi fino ad ora considerati dalla fisica, materia ed energia, ma anche dall’elemento informazione. Nel mondo macroscopico è prevalente la materia, in quello microscopico è invece prevalente l’informazione. Possiamo immaginare l’elettrone come una nave che naviga grazie ai suoi motori, ma, per poter arrivare in porto, ha bisogno del radar che le fornisce le informazioni riguardo alla rotta da seguire.

Questa metafora proposta dallo stesso Bohm spiegherebbe la differenza tra la sua concezione della fisica e la concezione classica. L’aspetto materiale (i motori) rappresenterebbero la meccanica classica (sia quella Newtoniana che quella di Einstein) e le informazioni provenienti dal radar rappresenterebbero la meccanica bohmiana. Nel mondo macroscopico noi saremmo dei semplici testimoni di ciò che avviene. Non potremmo con la nostra presenza influire, ad esempio, sulla forza di gravità, o sul moto degli astri.

Nel mondo microscopico invece, come è stato sperimentato, basta la presenza di un osservatore per modificare il campo di osservazione. Quindi l’osservatore non è scindibile dal fenomeno osservato, ma ne è parte integrante.
“Eppure, dal momento che lo stesso mondo macroscopico è composto da un numero incommensurabilmente grande di elementi microscopici, anche il mondo macroscopico, ovvero la realtà che viviamo tutti i giorni, è intimamente guidato da un “campo di forma” che a ogni istante informa la materia su come muoversi”.   

Ciò che teorizza Bohm richiama in modo impressionante la filosofia di antichi testi sacri indù: i Veda e i Purana, che parlano di un velo di illusorietà, “Maya”, che ci impedirebbe di “vedere” la realtà a noi sottostante, facendoci percepire una “separazione” (propria della materia) laddove esiste invece unità (propria del “campo del punto zero” o “Griglia”). La separazione che viviamo come reale è solo illusoria. L’Universo può essere compreso solo se visto nella sua totalità, come un tutt’uno. C’è un’interconnessione tra tutte le parti dell’universo come tra tutte le nostre menti e la Mente che governa l’Universo, “Griglia” o “Matrix” o “potenziale quantico” che dir si voglia.

È quindi a questo punto che si inserisce la ricerca filosofica di David Bohm. Nel 1959 il grande fisico si imbatte nel testo di Krishnamurti “The first and last freedom”, e, con sua grande meraviglia, scopre il parallelismo tra il pensiero del mistico e il suo di scienziato.
Scrive lo stesso Bohm riferendosi all’opera di Krishnamurti: “…Quello che risvegliò il mio interesse fu la sua feconda intuizione riguardo la questione dell’osservatore e dell’osservato. Questo problema era stato a lungo al centro del mio lavoro di fisico teorico interessato principalmente al significato della teoria dei quanti. In questa teoria, per la prima volta nella fisica, il concetto che l’osservatore e l’osservato non possano essere separati è stato posto come necessario e indispensabile per la comprensione delle leggi fondamentali della materia.

Per questo motivo e per il fatto che il libro di Krishnamurti conteneva molte altre intuizioni profonde, ritenni indispensabile parlare con l’autore direttamente e personalmente il più presto possibile. E quando lo incontrai la prima volta in occasione di una delle sue visite a Londra, fui colpito dalla grande facilità di comunicazione che avevo con lui, resa possibile dall’energia intensa con cui ascoltava e dalla totale mancanza di riserve e di sentimenti di autodifesa con cui rispondeva alle mie domande. Da persona che lavora nel campo scientifico mi sentii completamente a mio agio in questo tipo di dialogo, perché era sostanzialmente della stessa qualità di quella che avevo incontrato con altri scienziati con cui c’era stato un incontro intellettuale molto ravvicinato. Penso specialmente a Einstein, che mostrò una simile intensità e disponibilità in molte discussioni che ebbero luogo tra lui e me”. 

Inizia così un’amicizia durata per ben 25 anni, grazie alla quale la ricerca di Bohm si addentra profondamente nel campo della spiritualità, ma anche, contemporaneamente, in quello della filosofia e della psicologia. Inizia una serie di dialoghi tra i due pensatori. Dialoghi riportati fedelmente nel testo: “I limiti del pensiero”.
Insieme a Krishnamurti Bohm si chiede cos’è la realtà e cosa la verità e ne scopre la differenza sostanziale: ciò che noi viviamo come reale è in effetti un’illusione creata dai nostri sensi e dai nostri pensieri.

Nulla di ciò che ci appare reale corrisponde alla verità.
La verità è un concetto immutabile ed eterno, mentre la realtà (cioè maya, o l’impermanenza per i buddisti) cambia continuamente, così come cambiano i nostri pensieri. La realtà si presenta con una caratteristica essenziale: la dualità. Crea divisione, separa l’osservatore dall’osservato. La verità invece è una e indivisibile. La sua qualità è completamente differente da quella della realtà.
Eppure, ognuno di noi vive nella realtà. È perciò come se fosse frammentato. Non riconosce il proprio stato a causa della sua visione parziale che separa sé stesso dal resto.

Per comprendere in che stato si trova, l’uomo deve cercare di arrivare a quella che Bohm definisce “una visione globale, d’insieme” cercando di scoprire l’essenza di questa visione, andando oltre ogni piccolo dettaglio.
L’errore fondamentale che l’uomo fa è di concentrarsi sul contenuto dei propri pensieri e non sulla natura dei processi che li generano.
La mente in genere è affollata da mille preoccupazioni, mille pensieri, perciò non è libera, e quindi non può “vedere”. Quando invece è “vuota”, libera da pensieri, aspettative, desideri, timori, è in grado di vedere, acquistando la qualità della visione della verità. Ciò avviene durante la “meditazione”, quando la mente è vuota, non identificata con nessun oggetto.

E per Krishnamurti “il vero atto della meditazione, in sé stesso, porterà ordine all’attività del pensiero senza l’intervento della volontà, della scelta, della decisione o di qualsiasi altra azione di “colui che pensa”. Quando si stabilisce un tale ordine, il trambusto e il caos che sono la base usuale della nostra coscienza si estinguono e la mente diventa silenziosa”. La “visione della verità” è la percezione, attraverso la meditazione, che non c’è separazione tra i singoli, piccoli “io” che costituiscono le varie personalità umane, ma connessione, anzi, unità.

Le varie menti sono collegate istantaneamente in una rete che rispecchia la connessione tra tutte le cose dell’Universo.
La sensazione della separazione, propria della materia, crea disordine psicologico nell’uomo che si crede separato e solo. Alimenta il piccolo e distorto ego, oscurando la vera natura dell’uomo che è “divina”, una con tutto e con Dio.
Finché l’uomo si sentirà separato dall’ambiente, pensando di poter agire indipendentemente da esso, sarà sotto l’effetto dell’illusione (maya). Sarà libero solo quando si sentirà in armonia con tutto ciò che lo circonda, comprendendo l’unità che è alla base della diversità.

Infatti, nella Bhagavad Gita si afferma: “Tutte le azioni avvengono per l’intrecciarsi delle forze della natura, (ma) colui che è traviato dal sentimento del proprio ego pensa: sono io colui che fa”. Ma colui che conosce il rapporto tra le forze della natura e le azioni vede come certe forze della natura agiscono su altre, e non ne diviene schiavo”.
Anche per il buddismo l’idea di un ego separato da tutto il resto è un’illusione. Non esiste un sé che sia il soggetto permanente di esperienze comunque mutevoli. Legarsi a questo o a qualunque altro pensiero fisso come persone, eventi o cose, porta sofferenza.

Con le parole del Lama Govinda si può infatti affermare: “Per l’uomo illuminato… la cui coscienza abbraccia l’Universo, l’Universo diventa il suo “corpo” mentre il suo corpo fisico diventa una manifestazione della Mente Universale, la sua visione interiore diventa espressione della sua più alta realtà e la sua parola espressione della verità eterna e del potere mantrico”.
Naturalmente la ricerca a tutto campo di Bohm non poteva incontrare molto favore tra gli scienziati ortodossi, di cui egli criticava la mentalità essenzialmente matematica, mentalità che eludeva ogni riflessione su quelle che potevano essere le basi filosofiche della ricerca scientifica.

Soprattutto stigmatizzava l’eccessiva specializzazione che frammenta la scienza: “Gli scienziati che operano in un dato ramo, difficilmente sanno cosa sta succedendo in un campo di studi leggermente differente dal loro, e questo processo continua. La conoscenza è frammentata. Ogni cosa viene fatta in mille pezzi”. Questo era esattamente l’opposto del modo in cui Bohm operava.

In altri momenti egli puntò il dito contro la scienza attuale, ritenendola responsabile di molti dei problemi che affliggono l’Umanità: “Noi siamo diventati una società scientifica. Questa società ha prodotto ogni genere di scoperte e di tecnologie, ma essa porta alla distruzione, o attraverso la guerra o attraverso la devastazione delle risorse naturali, allora questa sarà stata la peggior società possibile mai esistita. E noi proprio adesso per questa ragione siamo in pericolo”. 

Le idee di David Bohm, pur accolte con scetticismo dai suoi colleghi, hanno comunque influenzato pensatori, filosofi, psicologi, e anche gli stessi fisici contemporanei. David Bohm muore il 27 ottobre 1992 di attacco cardiaco.

A cura di Bruna Caroli

Articolo pubblicato sulla rivista “Quarta dimensione” 1/2013

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